Il ministro Maroni ha dichiarato ieri che al prossimo consiglio dei ministri proporrà il 12 giugno come giorno per lo svolgimento dei referendum.
Si tratta dell’ultima data consentita dalla legge (che prevede che i referendum si svolgano tra il 15 aprile e il 15 giugno), altrimenti avremmo potuto anche rischiare di dover andare a votare a ferragosto.
La scelta non è casuale: il 12 giugno le scuole saranno già chiuse e l’inizio della stagione estiva rappresenterà, per chi può permetterselo, un incentivo ad andarsene fuori città. Questo almeno nei desiderata del ministro e del governo di cui fa parte che evidentemente temono che questa volta i referendum possano raggiungere il quorum e i sì vincere.
I timori del governo sono fondati - anche se non giustificano la decisione presa - come dimostra il 1.400.000 firme raccolte per i quesiti sulla ripubblicizzazione dell’acqua, un risultato mai ottenuto prima.
Per questo Maroni ha scelto la strada del boicottaggio, consapevole che la normale dialettica politica fra sostenitori del sì e del no lo vedrebbe perdente.
Meglio allora usare altri mezzi, pur di rendere difficoltosa la libera espressione della volontà dei cittadini.
Al ministro va ricordato che fu proprio su sua proposta che nel 2009 le elezioni amministrative furono accorpate alle europee. Allora era preoccupato che non si sperperassero inutilmente soldi pubblici (calcolò un risparmio di 400 milioni di euro) con più tornate elettorali. Oggi, malgrado si sia nel pieno della crisi economica, quella preoccupazione non c’è più.
Il comitato promotore dei referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua e quello contro il nucleare hanno da tempo avviato una petizione, che ha raccolto migliaia di firme, per chiedere l’accorpamento delle date di amministrative e referendum. Hanno chiesto un incontro al ministro per illustrargli le ragioni che sostengono l’accorpamento: ragioni economiche, ma soprattutto di maggiore garanzia di partecipazione.
La risposta è stata quella che apprendiamo dalle agenzie: un'arrogante chiusura al confronto e l’assoluta indifferenza alla possibilità che cittadine e cittadini siano messi nelle condizioni migliori per esercitare il loro diritto al voto.
Già ci fu chi nel passato disse “tutti al mare” e gli andò male. Sarà così anche questa volta.
Si tratta dell’ultima data consentita dalla legge (che prevede che i referendum si svolgano tra il 15 aprile e il 15 giugno), altrimenti avremmo potuto anche rischiare di dover andare a votare a ferragosto.
La scelta non è casuale: il 12 giugno le scuole saranno già chiuse e l’inizio della stagione estiva rappresenterà, per chi può permetterselo, un incentivo ad andarsene fuori città. Questo almeno nei desiderata del ministro e del governo di cui fa parte che evidentemente temono che questa volta i referendum possano raggiungere il quorum e i sì vincere.
I timori del governo sono fondati - anche se non giustificano la decisione presa - come dimostra il 1.400.000 firme raccolte per i quesiti sulla ripubblicizzazione dell’acqua, un risultato mai ottenuto prima.
Per questo Maroni ha scelto la strada del boicottaggio, consapevole che la normale dialettica politica fra sostenitori del sì e del no lo vedrebbe perdente.
Meglio allora usare altri mezzi, pur di rendere difficoltosa la libera espressione della volontà dei cittadini.
Al ministro va ricordato che fu proprio su sua proposta che nel 2009 le elezioni amministrative furono accorpate alle europee. Allora era preoccupato che non si sperperassero inutilmente soldi pubblici (calcolò un risparmio di 400 milioni di euro) con più tornate elettorali. Oggi, malgrado si sia nel pieno della crisi economica, quella preoccupazione non c’è più.
Il comitato promotore dei referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua e quello contro il nucleare hanno da tempo avviato una petizione, che ha raccolto migliaia di firme, per chiedere l’accorpamento delle date di amministrative e referendum. Hanno chiesto un incontro al ministro per illustrargli le ragioni che sostengono l’accorpamento: ragioni economiche, ma soprattutto di maggiore garanzia di partecipazione.
La risposta è stata quella che apprendiamo dalle agenzie: un'arrogante chiusura al confronto e l’assoluta indifferenza alla possibilità che cittadine e cittadini siano messi nelle condizioni migliori per esercitare il loro diritto al voto.
Già ci fu chi nel passato disse “tutti al mare” e gli andò male. Sarà così anche questa volta.