29.7.18

La notte dei Lupi nella Riserva del Borsacchio


Dopo i grandi successi degli scorsi anni torna la notturna al chiaro di luna piena nella Riserva Borsacchio: il 29 luglio 2018 ci sarà “La notte dei lupi al Borsacchio”
Programma:
20.00: Partenza dal lido Celommi
20.30: Tappa al parcheggio del Mion Hotel per raduno turisti
21.30: Arrivo previsto alla Fonte D’Accolle
21.40: Documentario a cura di CSEBA Project Wolf Ethology. A seguire "Lupo mito e leggenda" con Dott.ssa Francesca Trenta e Dott. Andrea Gallizia

Durante il tragitto le Guide del Borsacchio parleranno della storia di Roseto degli Abruzzi, della riserva e della flora e fauna nel magico scenario di una notte di quasi luna piena.
Consigliate scarpe da tennis, acqua e torcia elettrica. 
Percorso di circa 3 km. All’arrivo alla Fonte d’Accolle ci saranno stand e un piccolo rinfresco offerto.

25.7.18

Basta regali ai cacciatori: no del WWF a preapertura e prolungamento periodi di caccia!

 
Il WWF Abruzzo ha inviato questa mattina alla Regione le proprie osservazioni sul calendario venatorio per la stagione 2018/19. Le osservazioni partono da una premessa di carattere generale per poi scendere nei dettagli di alcune problematiche specifiche.
Nella premessa si sottolinea una ormai cronica inadempienza della Regione che, benché la legge consenta il prelievo venatorio sulla sola base del criterio della caccia programmata, continua a disattendere tale normativa “persino in merito alla redazione del più importante strumento di pianificazione faunistico-venatoria di cui dovrebbe dotarsi: il Piano Faunistico Venatorio Regionale, in prorogatio da oltre 10 anni (2007)”. Una grave carenza di pianificazione che è stata tra l’altro più volte censurata dai giudici amministrativi in varie sentenze emesse a seguito di ricorsi presentati dal WWF e che è ancora più grave visto che non ha mai visto la luce neppure l’Osservatorio Faunistico Regionale (OFR), importante strumento di studio monitoraggio e tutela previsto dalla legge regionale n. 10/2004.
Per queste ragioni il WWF ritiene che la Regione Abruzzo non possa legittimamente svolgere la propria azione amministrativa di programmazione dell’attività venatoria per la stagione 2018/19 in mancanza dei dati che attestino l’effettiva presenza della fauna sul proprio territorio: dati che non possono essere limitati a quelli cosiddetti “di carniere”, insufficienti per qualsiasi valutazione di merito.
In assenza di un quadro scientifico di riferimento sarebbe indispensabile richiamarsi al principio di precauzione (ribadito anche dalla recente Ordinanza del Consiglio di Stato n. 8713 del 2016) approvando un calendario venatorio che tenga conto della mancanza di dati che non permettono di superare i limiti della tutela stabiliti dall’ordinamento nazionale. In caso contrario, si creerebbe un grave danno alla fauna selvatica e agli equilibri biologici.
Scendendo nel dettaglio, il WWF ricorda di aver apprezzato, nel 2017, l’iniziativa presa dalla Giunta Regionale abruzzese di eliminare finalmente la preapertura a settembre e di effettuare una apertura unica al 1° ottobre. Purtroppo, nella proposta di calendario venatorio in esame, la Giunta Regionale reintroduce l’apertura dal 16 settembre, vanificando la scelta innovativa e coraggiosa dello scorso anno, dimenticando tra l’altro che l’apertura generale a ottobre era stata chiesta anche dall’ISPRA. Eliminando la preapertura torneranno a crearsi impatti negativi della caccia sulla fauna selvatica, anche su quella non cacciabile, in quanto, come è noto, a settembre molte specie sono ancora nella fase di cura della prole. Aumenterà il fenomeno del bracconaggio che avviene soprattutto quando la caccia è consentita solo ad alcune specie.
Il WWF ritiene inoltre che sia un grave errore prevedere di estendere la caccia alla Beccaccia sino al 10 gennaio nonostante i pareri contrari di ISPRA (vedi da ultimo quello con protocollo n. 35919 del 30/05/18) e la decisione dell’Ordinanza del Consiglio di Stato (n. 8713 del 2016) che chiedono di fissare come data ultima il 31 dicembre.
Il calendario venatorio proposto prevede inoltre la possibilità di estendere il periodo di caccia alla specie Colombaccio fino al 10 febbraio 2019. Ciò è incompatibile con le carenze di cognizioni scientifiche della Regione Abruzzo e delle Province, già in passato censurate dai giudici amministrativi che hanno evidenziato come l’estensione dei periodi di caccia non può essere decisa solo sulla base di alcuni dati relativi agli abbattimenti e senza un Piano Faunistico Venatorio vigente. La caccia a febbraio è estremamente dannosa e pertanto da non consentire.
Circa la caccia alla Coturnice, come già evidenziato in precedenti note indirizzate agli Uffici regionali e all’ISPRA, si spiega come recenti studi abbiano dimostrato una distribuzione della specie frammentaria e con nuclei tra loro isolati, situazione che implica uno scarso o assente scambio d’individui. In una tale situazione l’unica proposta possibile è la sospensione della caccia alla Coturnice in Abruzzo, per un periodo di tempo sufficiente alla raccolta di dati puntuali e aggiornati sulla diffusione e sul trend della specie.
Da alcuni anni l’ISPRA indica poi come sia indispensabile impedire la caccia vagante sul territorio dal 1° gennaio in poi, indistintamente dalle specie cacciate. Si ritiene infatti, giustamente, che in tal modo si riduca l’impatto dell’attività venatoria sul territorio e sulle specie animali in genere. Va dunque introdotta nel calendario una disposizione che preveda dal 1° gennaio la caccia sul territorio abruzzese possa essere esercitata esclusivamente sotto forma di appostamento fisso o temporaneo, peraltro ciò consentirebbe un migliore controllo dell’attività da parte degli organi di polizia.
Il WWF ricorda anche che, con Deliberazione n. 480 del 5/7/2018, la Regione Abruzzo ha approvato la perimetrazione dell’area contigua al Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. È opportuno che il calendario in approvazione recepisca quanto definito dalla relativa normativa di attuazione. Va poi portato il carico venatorio a 1 a 40 in tutta la ZPE abruzzese del Parco, adeguandosi al carico di Lazio e Molise.
Ancora: va abolita la possibilità di effettuare la caccia in forma collettiva con l’utilizzo di tre cani (cosiddetta “mini-braccata”) nella Zona di Connessione ed Allargamento (ZPC) e vanno uniformate le modalità e le forme di caccia tra ZPC e ZPE (Zona di Protezione Eesterna al Parco d’Abruzzo), aree nelle quali è accertata la presenza dell’Orso Bruno Marsicano.
“Proprio per la salvaguardia dell’Orso bruno marsicano dal pericolo di estinzione vanno adottati provvedimenti più incisivi”, dichiara Dante Caserta, vicepresidente del WWF Italia. “Appare quanto mai opportuno estendere le misure previste per la ZPE a tutto l’areale dell’Orso nonché adottare nell’area contigua del Parco Nazionale d’Abruzzo tecniche di caccia a minor impatto (caccia di selezione). L’integrazione tra il calendario venatorio e il Piano d’Azione per la Tutela dell’Orso Marsicano (PATOM), deve essere reale e concreta se la tutela della specie rappresenta effettivamente una priorità. L’attuazione di pratiche venatorie a minor impatto non può essere, quindi, relegata alla sola ZPE, ma va estesa a tutto l’areale della specie a cominciare dall’introduzione del divieto di braccata al cinghiale a vantaggio di tecniche venatorie a minor impatto”.
“Siamo alle solite”, conclude Luciano Di Tizio, delegato WWF Abruzzo. “Se lo scorso anno era stato fatto qualche passo avanti in materia di gestione faunistica, la Regione Abruzzo sembra ora voler tornare indietro. Ribadiamo per l’ennesima volta che la fauna è patrimonio di tutti e non dei soli cacciatori e che la sua gestione deve essere svolta su basi scientifiche e nel rispetto delle normative di tutela. Ci aspettiamo che la Regione riveda il calendario prima di approvarlo, altrimenti saremmo costretti a ritornare nelle aule giudiziarie che finora hanno sempre visto la Regione soccombente”.

Verso la chiusura delle indagini sull'incidente del Gran Sasso dell'8 e 9 maggio

 
La notizia riportata dagli organi di stampa circa la chiusura delle indagini sull’emergenza dell’8 e 9 maggio 2017, se fosse confermata, sarebbe un passo importante verso l’accertamento della verità.
L’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso, costituito dalle Associazioni WWF, Legambiente, Mountain Wilderness, ARCI, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie Ambientali d’Italia, FIAB, CAI, Italia Nostra e FAI, è nato oltre un anno fa e ha fin da subito posto tra le sue richieste l’accertamento di quanto accadde in quei giorni, perché – al di là delle singole responsabilità che dovranno essere accertate – vi è l’esigenza di comprendere le mancanze del sistema di sicurezza di uno dei principali acquiferi del nostro Paese.
Non è la prima volta che la magistratura si occupa dell’acquifero del Gran Sasso. Dopo l’incidente del 16 agosto 2002, quando una certa quantità di trimetilbenzene, utilizzato nell’esperimento Borexino, si riversò nell’acqua in distribuzione, vi fu l’intervento della Procura di Teramo con sequestro dei Laboratori e conseguente processo che si concluse – tra l’altro – con l’applicazione concordata della pena con patteggiamento nei confronti di alcuni dei vertici di allora dei Laboratori e dell’INFN al momento dell’incidente.
Purtroppo, nonostante sia seguita anche una gestione commissariale durata anni, la messa in sicurezza dell’acquifero è rimasta un miraggio!
L’auspicio è che questa volta l’accertamento della verità serva ad accelerare le procedure per una messa in sicurezza definitiva che garantisca ad oltre 700.000 abruzzesi acqua sicura e una gestione trasparente.
Le Associazioni che compongono l’Osservatorio attendono quindi i prossimi passaggi ufficiali della Procura e anticipano fin da ora che, nei modi e nei tempi opportuni, valuteranno un proprio intervento nell’eventuale processo al fine di tutelare gli interessi ambientali e sociali come viene loro riconosciuto dalle leggi di settore.

19.7.18

Rapporto ISPRA sul consumo dei suoli: l'Abruzzo non fa una bella figura!


Martedì scorso è stato presentato presso la Camera dei Deputati il Rapporto 2018 ISPRA-SNPA sul “Consumo di Suolo in Italia 2018”. I dati illustrati mostrano chiaramente la difficoltà di invertire un processo, il consumo di suolo, riconosciuto come una delle principali minacce per il nostro benessere. È sempre più urgente mettere a punto dispositivi di controllo e governo delle dinamiche in atto anche in considerazione dell’obietto posto dalla Comunità Europea che prevede l'azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050. Un discorso che vale a livello nazionale così come a livello regionale. L’Abruzzo infatti, purtroppo, non fa eccezione nel trend negativo italiano: oltre un terzo della fascia costiera risulta cementificata ed è pesante anche l’occupazione delle aree collinari (21,7%).
“In Italia costruiamo ogni due ore un’intera Piazza Navona”. È questa la suggestiva immagine utilizzata dagli esperti dell’ISPRA nel corso della presentazione del Rapporto per rendere l’idea della velocità, pari a 2 metri quadri al secondo, con la quale abbiamo letteralmente divorato il nostro territorio nell’ultimo anno. Per il 2017 è stata stimata complessivamente una perdita di suolo naturale pari a 52 km2, dato calcolato in termini di “bilancio netto”, considerando cioè anche alcune trasformazioni da suolo occupato a suolo recuperato (in genere ripristino di cantieri).
In questo quadro generale l’Abruzzo, “regione verde d’Europa”, non si differenzia molto dal resto della penisola, con 549 Kmq complessivamente artificializzati (pari al 5,08% della superficie regionale) e un incremento annuo del 0,22% (dato nazionale: 0,23%).
Il litorale risulta la zona più depauperata (vedi figura): considerando la fascia di territorio compresa entro i 300 metri dalla linea di costa, l’Abruzzo si colloca tra le regioni con i valori più alti (36,6%) al pari di Emilia Romagna e Lazio (tutte con percentuali di suolo consumato comprese tra il 30 e il 40%) e fa meno peggio solo di Liguria e Marche che raggiungono quasi il 50%. A fronte di questi dati desolanti appare ben evidente quanto sia importante, per la conservazione dei pochi tratti litoranei ancora liberi, il ruolo giocato dalle aree protette costiere e dai Siti Natura 2000 che propongono un modello di sviluppo alternativo e sostenibile.
In collina l’Abruzzo sta ancora peggio: guida infatti in negativo la classifica nazionale dei territori occupati con una percentuale che arriva al 21,7%. Non si salvano neppure i parchi naturali, particolarmente nelle aree colpite dal recente sisma: su circa 84 ettari (+0,11%) consumati a scala nazionale tra il 2016 e il 2017 all’interno di aree protette, i maggiori cambiamenti dovuti al consumo di suolo sarebbero infatti avvenuti nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (10 ettari). Come a dire che il terremoto ha come effetto collaterale nefasto anche gli eccessi nella successiva fase di ricostruzione che, dati alla mano, non si limita a sanare e a mettere in sicurezza quel che c’era, ma propone nuovo cemento, il più delle volte inutile e snaturante per i territori.
Ma quali sono le ripercussioni del consumo di suolo?
Sebbene l’espansione urbana e l’infrastrutturazione siano tuttora erroneamente considerate come parametri di benessere, il Rapporto ISPRA sottolinea come esse provochino invece una pesante alterazione di servizi ecosistemici importanti, quali la regolazione climatica o idrologica con un costo notevole anche in termini economici: circa 1 miliardo di euro se si prendono in considerazione solo i danni provocati, nell’immediato, dalla perdita della capacità di stoccaggio del carbonio e di produzione agricola e legnose degli ultimi 5 anni. La cifra aumenta, se si mettono nel conto i costi di circa 2 miliardi all’anno, causati dalla carenza dei flussi annuali dei servizi ecosistemi che il suolo naturale non potrà più garantire in futuro (tra i quali regolazione del ciclo idrologico, dei nutrienti, del microclima, miglioramento della qualità dell’aria, riduzione dell’erosione).
Tali conseguenze sono ben note, tanto che l'Unione Europea impone come obiettivo l'azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050. Obiettivi intermedi di sostenibilità sono riportati invece nell'Agenda Globale per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite che si propone di migliorare entro il 2030 l'attuale modello di sviluppo urbano e di incrementare e assicurare l'accessibilità a spazi verdi e di relazione. In Italia, nell'attesa che il disegno di legge del 2012 sul Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato diventi legge, si demanda la tutela a provvedimenti regionali.
In tal senso l’Abruzzo si è dotato, circa un anno fa, della legge regionale n. 40/2017 sul recupero del patrimonio edilizio esistente finalizzato anche al contenimento dell’uso del suolo. Tuttavia gli strumenti a supporto di un'incisiva riduzione del consumo sono ancora pochi e poco incisivi e i problemi locali, come ad esempio la redazione del Piano Paesaggistico Regionale fermo al palo da ben 14 anni (!), si sommano a difficoltà più generali, comuni alla quasi totalità della penisola, che non consentono di fissare dei limiti quantitativi alle trasformazioni territoriali né di esercitare un controllo efficace sui meccanismi, strumenti urbanistici in primis, che le determinano.
Come evidenziato nel Report WWF del 2017 “Caring for our soil - Avere cura della natura dei territori” sarà necessario nell’immediato futuro mettere a punto strumenti innovativi che, superando lo stesso concetto di “consumo di suolo zero”, propongano un “bilancio zero del consumo di suolo”, attraverso dispositivi di controllo e governo delle dinamiche in atto che facciano leva di volta in volta su strumenti perequativi, di scambio di crediti, di incentivazione, di fiscalità e di sanzioni.

18.7.18

Domani confronto in regione su gestione cinghiali: per il WWF il problema non lo potranno risolvere i cacciatori

 
Il WWF parteciperà, in quanto Associazione che gestisce una serie di riserve regionali, al “Tavolo tecnico regionale permanente per la protezione delle colture e degli allevamenti dalla fauna selvatica” convocato dall’Assessore Lorenzo Berardinetti per domani a L’Aquila: tema dell’incontro sarà un confronto sulle linee di indirizzo per la gestione del cinghiale nelle aree protette che la Regione vuole mettere a punto.
Apprezziamo molto l’invito dell’Assessore e la volontà di confrontarsi su un tema importante, spesso purtroppo contraddistinto da semplificazioni che non facilitano la risoluzione del problema. È indispensabile, infatti, che la tematica sia affrontata su basi tecnico-scientifiche, mettendo da parte sia gli aspetti emotivi sia gli interessi rappresentati dal mondo venatorio.
L’esperienza maturata negli anni, in qualità di gestori di aree naturali protette, ci spinge a considerare un grave errore consentire di cacciare in parchi e riserve, scelta la cui concreta praticabilità giuridica è peraltro tutta da dimostrare. Appaiono molto più efficaci l’adozione di strumenti di dissuasione non cruenta (recinti elettrificati, dissuasori con luci e rumori, campi a perdere) e, qualora questi non funzionassero, la cattura attraverso chiusini, relegando solo in casi puntuali legati all’incolumità pubblica o a situazioni circoscritte, il ricorso ad abbattimenti veramente selettivi effettuati su capi determinati ma sempre e soltanto da parte di personale specializzato appartenente o ai parchi o alle Forze dell’ordine.
In ogni caso, come facciamo da anni, la prima cosa che chiederemo è che il confronto parta da dati reali e verificati. Se si vuole veramente affrontare una volta per tutte il problema e provare a trovare delle soluzioni concrete e percorribili, è indispensabile:
  • avere un quadro della presenza dei cinghiali nella regione e nei singoli territori compresi quelli nei quali sono comprese anche aree protette;
  • confrontarsi sui risultati delle politiche portate avanti in questi ultimi 10 anni in base alle quali oggi si è sostanzialmente arrivati a consentire la caccia al cinghiale in tutti i periodi dell’anno e in tutto il territorio regionale (a esclusione finora delle aree naturali protette);
  • sganciare totalmente l’aspetto della gestione dei danni dalla caccia. Dopo anni di politiche tutte basate sugli abbattimenti si continuano registrare danni alle colture, che in alcuni casi addirittura aumentano. Ci si deve quindi chiedere quale reale efficacia abbia affrontare il problema attraverso lo strumento dei cacciatori che, dopo essere stati l’origine del problema con l’introduzione in Abruzzo di cinghiali a scopo venatorio, vengono ora individuati come la soluzione nonostante non siano affatto interessati a risolverlo, essendo i primi beneficiari di questa situazione che ha consentito loro di andare a caccia anche in periodi in cui tale attività è vietata (traendone anche, alcuni di loro, introiti dalla vendita delle carni degli animali uccisi);
  • verificare che tipo di controlli vengono effettuati sulle attività di selecontrollo attualmente consentite, considerato che quelle che dovrebbero essere delle girate si trasformano sostanzialmente in vere e proprio braccate, deleterie, soprattutto in periodi di riproduzione come questo, non solo per i cinghiali, ma per tutta la fauna che viene inseguita e spaventata da cani e spari;
  • analizzare in quanti casi sono state adottate le misure dissuasive non cruente, che appunto si dovrebbero sperimentare prima di passare agli abbattimenti, e che tipo di risultati queste hanno comportato;
  • studiare le relazioni tra lupo e cinghiale considerato che, essendo il cinghiale alla base della dieta del lupo, l’eliminazione di un numero consistente di cinghiali spingerebbe i lupi a predare maggiormente pecore o altri animali da allevamento;
  • verificare i risultati delle catture che alcune realtà locali hanno portato avanti verificandone l’applicabilità su altri territori, non legandola a motivi economici di vendita delle carni, ma più opportunamente all’efficacia rispetto agli obiettivi della riduzione del danno e del superamento di eventuali squilibri ecologici per sovrannumero di capi.
Come WWF ci rendiamo conto che si tratta di un programma di attività estremamente complesso, ma la logica e l’esperienza ci spingono a lavorare in questa direzione al fine di dotare l’Abruzzo finalmente di un sistema di gestione della specie che miri a risolvere efficacemente il problema, percorrendo finalmente la strada della ricerca e del confronto tecnico e tralasciando le altre vie che fino a oggi non hanno evidentemente portato ai risultati sperati.

15.7.18

Gestione cinghiali: iniziamo a dire la verità?


La recente proposta avanzata dalla Regione Abruzzo per attuare una filiera delle carni da cinghiale, attraverso l’utilizzo di gabbie di cattura e chiusini anche all’interno delle Aree Protette Regionali e Nazionali con l’obiettivo di prevenire e risolvere i problemi di danneggiamento causati alle coltivazioni agricole e alle attività antropiche sensibili ci obbliga a intervenire sull’argomento nel tentativo di fare un po’ di chiarezza su un argomento certamente complesso ma del quale si continua a parlare con una preoccupante approssimazione.
Due sono i punti fermi da tenere in debito conto: il primo riguarda le responsabilità della attuale situazione e i relativi conti da pagare. Il problema cinghiali esiste perché, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso e sino a pochi anni fa (vedi allegato 1 in calce al presente comunicato) ci sono state immissioni a scopo venatorio. I cinghiali si sono moltiplicati in Italia col solo scopo di consentire a una minoranza di cacciatori di divertirsi sparando e uccidendo. Ciò premesso appare evidente che chi ha creato il danno deve pagarne le conseguenze, anche in termini economici. Il risarcimento dei danni da cinghiale va di conseguenza attribuito interamente agli ATC, gli Ambiti Territoriali di Caccia. In questo modo sarebbe chi trae vantaggio dalla presenza di quella che agli occhi dei cacciatori è solo selvaggina a sopportare gli effetti collaterali negativi di immissioni praticate per decenni. In caso contrario, come avviene oggi, sarebbero gli stessi danneggiati a ripagare i propri danni attraverso le tasse, dirette e indirette, che gravano su tutti i cittadini onesti.
Il secondo punto da tenere ben fermo riguarda una constatazione sotto gli occhi di tutti: l’attuale sistema di controllo della popolazione dei cinghiali è risultato del tutto fallimentare visto che i danni non sono affatto diminuiti. Chi mai del resto affiderebbe la riparazione di un danno proprio a chi questo danno lo ha creato, come fa la Regione Abruzzo con i cacciatori?
È ora di cambiare radicalmente strategia, ma questo sarà possibile soltanto ragionando con criteri scientifici e non sulla spinta delle emozioni. La stessa proposta di filiera delle carni della Regione, avanzata senza un vero e proprio documento tecnico di indirizzo, rischia di diventare l’ennesimo elemento di perturbazione della popolazione del cinghiale allontanandoci dalla strada che si dovrebbe percorrere. È palese che a oggi la gestione faunistica della Regione Abruzzo presenta gravi criticità, a partire dai Piani redatti, da cui si evince chiaramente la mancanza di una solida strategia di intervento e la assoluta carenza di informazioni chiare e inserite in una banca dati unica sui capi abbattuti che potrebbe aiutare a verificare ed eventualmente correggere le azioni poco efficaci.
Tanti sono inoltre gli elementi di incertezza in merito all’effettiva assenza di nuove introduzioni e ai dati delle attività degli ATC in relazione alla caccia di selezione. Sarebbe, in particolare, di fondamentale importanza conoscere l’incidenza degli abbattimenti, ad esempio, sulla dieta del lupo, ma anche sugli habitat di interesse conservazionistico (Siti di Interesse Comunitario e Aree Protette).
Infine, ma non ultimo in ordine di importanza, si continua a presentare l’attività di controllo numerico del cinghiale come necessaria a rispondere all’impatto della specie sulle coltivazioni agricole, tuttavia risulta completamente assente il coinvolgimento delle categorie professionali agricole: la questione cinghiale non potrà mai essere risolta da un’azione isolata del mondo venatorio, ma piuttosto deve prevedere il coinvolgimento di coloro che maggiormente subiscono i danni della convivenza con questa specie, ovvero gli agricoltori. È dimostrato largamente che il solo prelievo venatorio è assolutamente insufficiente a tenere sotto controllo il cinghiale, per cui deve essere favorito il coinvolgimento degli agricoltori nell’ambito della multifunzionalità dell’impresa agricola attraverso interventi di prevenzione e riduzione dei danni e contenimento delle popolazioni attraverso la pratica delle catture, affidando loro direttamente le gabbie o chiusini di cattura e rifinanziando il bando PSR per le recinzioni elettrificate poiché sono state presentate domande per circa 4,5 M€ a fronte di una dotazione di soli 1,5 M€.
In questo contesto non bisogna mai dimenticare che le Aree Protette (AAPP) non sono una “controparte”, come erroneamente vengono spesso pensate, anche dalla Regione, ma bensì sono “parte” del sistema regionale che dovrebbe concorrere alla gestione del cinghiale nel rispetto dei ruoli e delle competenze che la legge attribuisce ai vari soggetti pubblici e privati.
La gestione del cinghiale è una sfida che si può vincere. C'è necessità però di cambiare approccio e di fare “gioco di squadra” tra i vari soggetti, che a diverso titolo hanno un ruolo attivo. Ognuno con le proprie competenze e responsabilità deve concorrere, nel rispetto della normativa e del lavoro di tutti, ponendo in essere azioni convergenti verso gli stessi obiettivi. Azioni che devono essere identificate e definite secondo una metodologia e con dati che permettano di verificare efficacia ed efficienza della programmazione e nel caso di scostamenti dagli obiettivi prefissati permettere di correggere il tiro senza sprecare risorse economiche o danneggiare la biodiversità.

Allegato 1
Brano tratto dalla introduzione alle “Linee guide per la gestione del cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette” di Silvano Toso e Luca Pedrotti edito nel 2001 tra i Quaderni di Conservazione della Natura a cura del Ministero dell’Ambiente Servizio Conservazione della Natura e dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica “Alessandro Ghigi” (oggi ISPRA).
«Le cause che hanno favorito l’espansione e la crescita delle popolazioni sono legate a molteplici fattori sulla cui importanza relativa le opinioni non sono univoche. Tra questi, le immissioni a scopo venatorio, iniziate dopo la metà del XX secolo, hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale. Effettuati dapprima con cinghiali importati dall’estero, in un secondo tempo i rilasci sono proseguiti soprattutto con soggetti prodotti in cattività in allevamenti nazionali. Tali attività di allevamento ed immissione sono state condotte in maniera non programmata e senza tener conto dei principi basilari della pianificazione faunistica e della profilassi sanitaria e, attualmente, il fenomeno sembra interessare costantemente nuove aree con immissioni più o meno abusive (come testimonia la comparsa della specie in alcune aree dell’arco alpino dove l’immigrazione spontanea sembra evidentemente da escludersi). Ancora oggi diverse Amministrazioni provinciali, soprattutto nella parte meridionale del Paese, acquistano direttamente cinghiali per il ripopolamento o autorizzano altri enti gestori (Ambiti territoriali di caccia, Aziende faunistico-venatorie, ecc.) a rilasciare regolarmente in natura animali prodotti in allevamenti».

11.7.18

C'è rifiuto e rifiuto. Ancora sul materiale spiaggiato alla Torre di Cerrano


Questa mattina il tratto di spiaggia della Torre di Cerrano, all’interno dell’Area Marina Protetta si presentava con grossi segni del transito di mezzi meccanici e con il materiale legnoso spiaggiato in gran parte ammucchiato.
Da quanto si è potuto vedere sembra quindi che siano stati effettuati lavori di rimozione di materiale legnoso dalla spiaggia con mezzi meccanici. Ciò appare in contrasto con quanto stabilito dallo stesso “Regolamento di esecuzione e organizzazione” dell’Area Marina Protetta. Peraltro i lavori sembrano esser stati compiuti dalla serata di ieri o addirittura nella notte perché ieri non vi erano tracce sulla spiaggia.
Il WWF Teramo ha inviato una segnalazione all’Area Marina Protetta di Torre del Cerrano e ai competenti Uffici della Capitaneria di Porto di Giulianova e Silvi chiedendo di procedere ad un sopralluogo per verificare cosa è successo e di sapere che tipo di lavori sono stati effettuati, da chi e se erano stati autorizzati.
Il WWF era già intervenuto nei giorni scorsi sulla vicenda delle pulizie con mezzi meccanici chiedendo all’AMP e ai Comuni di Silvi e Pineto di farsi promotori di un incontro per affrontare tale problematica che va a toccare diversi interessi e che deve però essere trattata nel rispetto delle normative vigenti e delle esigenze di tutela ambientale alla base dell’istituzione delle aree protette.

10.7.18

L'Osservatorio incontra la Commissione Ambiente del Consiglio regionale: primi segnali positivi sulla messa in sicurezza dell'acquifero

L'Osservatorio in Commissione in Consiglio regionale a L'Aquila
L’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso, costituito dalle Associazioni WWF, Legambiente, Mountain Wilderness, ARCI, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie Ambientali d’Italia, FIAB, CAI, Italia Nostra e FAI, oggi ha partecipato, su invito del Presidente Pietrucci, alla seconda Commissione “Territorio, Ambiente e Infrastrutture” del Consiglio Regionale d’Abruzzo a L’Aquila per un confronto sulla situazione dell’acquifero del Gran Sasso. Erano presenti in Commissione anche il Vicepresidente Lolli e il Sottosegretario Mazzocca.
È stata una riunione molto utile e proficua che ha permesso ai rappresentanti dell’Osservatorio di ripercorrere quanto è accaduto fino ad oggi e di ribadire le richieste che da tempo sono state avanzate circa la messa in sicurezza del Gran Sasso.
Ci sono degli importanti segnali di novità:
1) si è preso atto della reale situazione altamente problematica del sistema Gran Sasso a causa dell’interferenza dei Laboratori e delle gallerie autostradali sull’acquifero. Si sono evidenziate le mancanze che fino ad oggi hanno caratterizzato la gestione di questa problematica e i ritardi accumulati dai vari Enti. Si è concordato come le ipotesi progettuali presentate da INFN e Strada dei Parchi, ancora in fase di definizione, saranno accettate solo se avranno l’obiettivo della messa in sicurezza definitiva dell’acquifero, evitando qualsiasi idea di nuovo traforo.
2) Il Vicepresidente Lolli ha dichiarato la disponibilità di aprire la “Commissione per la gestione del rischio nel sistema idrico del Gran Sasso” alla partecipazione dei rappresentanti delle Associazioni, qualora vi fosse un’indicazione in tal senso del Consiglio regionale. È un cambio di rotta da tanto tempo atteso: si è concordato con il Presidente Pietrucci che nei prossimi giorni si procederà a individuare le modalità di partecipazione alla Commissione.
3) Il Vicepresidente Lolli ha anche evidenziato che, come le Associazioni chiedono da sempre, è stato richiesto all’INFN di presentare un cronoprogramma per l’eliminazione delle sostanze pericolose rispetto all’acquifero stoccate nei Laboratori e che è intenzione dalla Regione di non cedere assolutamente su questo punto indispensabile al fine di garantire il rispetto della normativa vigente che attualmente è largamente disattesa.
4) Il Presidente Pietrucci, nel ringraziare l’Osservatorio del lavoro svolto, ha affermato la piena disponibilità di tutta la Commissione a proseguire nel confronto avviato, facendosi garante del coinvolgimento delle Associazioni.
Per l’Osservatorio oggi sono stati fatti dei passi avanti importanti. Quanto sostenuto dalle Associazioni sembra essere finalmente patrimonio comune della principale Istituzione regionale.
Ovviamente attendiamo però gli atti concreti che daranno effettivamente la misura delle intenzioni della Regione Abruzzo con la quale l’Osservatorio ha sempre chiesto di collaborare. Ora è importante lavorare bene e farlo nel più breve tempo possibile perché 700.000 abruzzesi vogliono continuare a bere acqua in tutta sicurezza.

9.7.18

Domani l’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso incontra la Seconda Commissione del Consiglio Regionale d’Abruzzo

 
A distanza di tre mesi dalla richiesta, l’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso sarà ricevuto domani, martedì 10 luglio, dalla Commissione “Territorio, Ambiente e Infrastrutture” della Regione Abruzzo a L’Aquila per un confronto sulla situazione dell’acquifero del Gran Sasso.
“È una grandissima fatica seguire la vicenda dell’acquifero del Gran Sasso” commentano dall’Osservatorio. “Ovviamente siamo contenti che sia arrivato questo invito da parte della Commissione, ma certo anche in questo caso, come per la partecipazione alla “Commissione per la gestione del rischio nel sistema idrico del Gran Sasso”, non possiamo dire che il sistema abbia brillato nel garantire trasparenza e partecipazione. Ogni piccola conquista di quello che dovrebbe essere un diritto acquisito delle associazioni e un interesse della politica arriva solo dopo tanto tempo e continue insistenze”.
L’Osservatorio in ogni caso è molto interessato a confrontarsi con il Presidente e i componenti della Commissione “Territorio, Ambiente e Infrastrutture” della Regione Abruzzo per esporre le proprie preoccupazioni e le proprie proposte, ma soprattutto per acquisire informazioni e impegni sulla messa in sicurezza dell’acquifero da parte dei rappresentati regionali.
 
L’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso è costituito dalle associazioni WWF, Legambiente, Mountain Wilderness, ARCI, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie Ambientali d’Italia, FIAB, CAI, Italia Nostra e FAI.

4.7.18

Rifiuti spiaggiati nell’Area Marina Protetta Torre del Cerrano: necessaria un’azione più incisiva da parte di tutti gli Enti a partire dalla prevenzione


Le forti mareggiate degli ultimi mesi hanno portato a più riprese sulla spiaggia dell’Area Marina Protetta Torre di Cerrano grandi quantità di rifiuti. Sul tratto di litorale ricompreso nel parco è arrivato, come del resto su tutta la costa teramana, materiale di ogni tipo: tronchi, rami e altro materiale legnoso, ma anche immondizia, tantissima plastica, materiale scartato durante le attività di pesca e acquacoltura e perfino rifiuti speciali e sanitari.
Correttamente le norme in vigore nel Parco impongono di non rimuovere il materiale legnoso che, come è scritto sui cartelli dell’Area Marina Protetta, deve essere considerato una “risorsa e non un rifiuto” perché svolge un’importante funzione ecologica sia contro l’erosione, sia come rifugio e fonte di nutrimento per larve e insetti alla base della catena alimentare dell’ecosistema dunale-litoraneo.
La quantità di materiale arrivato sulle spiagge nelle ultime settimane è stata enorme (sono stati ritrovati interi alberi sradicati sulla spiaggia). Questo ha posto un problema per quanto riguarda la pulizia della spiaggia che, in varie parti dell’Area Marina Protetta, deve essere fatta selettivamente senza l’utilizzo di mezzi meccanici per non danneggiare le dune o i nidi di fratino e non portare via anche il legno spiaggiato.
In alcune delle pulizie effettuate dopo le mareggiate della fine di maggio, ciò non è accaduto, contravvenendo a quanto stabilito dallo stesso Regolamento di Esecuzione e Organizzazione dell’Area Marina Protetta, in particolare dall’articolo 15 “Disciplina della pulizia degli arenili” dove si legge che nella zona B “sono consentite attività di pulizia delle spiagge esclusivamente a mano” e nella zona C1 la pulizia degli arenili deve essere effettuata “al di fuori delle concessioni balneari, rigorosamente a mano”.
È vero che l’incuria dei nostri corsi d’acqua (recentemente il WWF ha denunciato lo stato pietoso in cui versa il Fiume Vomano, costellato di decine e decine di discariche abusive, piccole e grandi) e i rilasci di acqua dagli sbarramenti posti lungo il Vomano fanno arrivare al mare ogni tipo di materiale che poi alla prima mareggiata viene depositato sulla spiaggia. Ma è altrettanto vero che proprio un’Area Marina Protetta e i Comuni che ne fanno parte devono essere i primi a tutelare il patrimonio naturale costiero rispettando quelle norme che si sono essi stessi dati. Non è possibile una simile mancanza di coordinamento per cui il Comune di Pineto fa effettuare la pulizia con mezzi meccanici e l’Area Marina Protetta non interviene per far rispettare il divieto.
Abbiamo appreso dalla stampa che l’Area Marina Protetta è intenzionata a promuovere un incontro al fine di trovare una soluzione a questo problema.
Apprezziamo l’iniziativa e riteniamo che il Parco e i comuni costieri non possono essere lasciati soli a gestire un’emergenza che in gran parte viene determinata al di fuori dell’area di loro competenza. Tale iniziativa, però, deve portare ad azioni concrete, mettendo tutti davanti alle proprie responsabilità almeno rispetto a quattro punti fondamentali:
  • controllo del territorio rispetto all’abbandono dei rifiuti lungo i corsi d’acqua;
  • bonifica delle discariche abusive e di quelle in stato di abbandono lungo i corsi d’acqua;
  • regolamentazione dei rilasci di acqua nei corsi d’acqua per impedire di trasformare il mare in una discarica;
  • rispetto delle regole per la pulizia della spiaggia.
L’Area Marina Protetta Torre di Cerrano e i Comuni di Pineto e Silvi possono farsi promotori di un incontro aperto al contributo di tutti per analizzare le cause del problema e trovare soluzioni concrete e durature. In questo modo si porranno le basi per evitare il ripetersi di quanto abbiamo visto nell’ultimo mese e negli anni passati.
Il WWF, che a livello nazionale porta avanti la campagna #plasticfree “Mare e spiagge senza plastica”, è pronto a dare il proprio contributo e a collaborare come ha sempre fatto anche partecipando e promuovendo le giornate di pulizia a mano del litorale fatte negli ultimi 20 anni sulla costa teramana.

2.7.18

L'Osservatorio si autoinvita alla riunione della Commissione regionale per l'emergenza idrica

Per la prima volta la Regione Abruzzo ha consentito all'Osservatorio di assistere ai lavori dell'ultima riunione della Commissione per l'emergenza idrica del Gran Sasso. Una delegazione dell'Osservatorio si è infatti "autoinvitata" alla riunione di lunedì 25 giugno.
Una riunione durata più di tre ore, densa di contenuti che ha delineato non solo le prospettive, ma anche i ritardi e la cronistoria di una vicenda che ha origine nella costruzione dei tunnel autostradali.
Ad un anno dai fatti del maggio 2017, la Regione Abruzzo, tramite il Vicepresidente Giovanni Lolli, finalmente ha convenuto di seguire quanto l'Osservatorio ha chiesto dall'inizio della vicenda, ripartendo di fatto dalla relazione del Commissario Balducci per chiarire come l’unico vero obiettivo perseguibile debba essere la messa in sicurezza dell’acquifero ed il rispetto delle diverse normative ambientali da parte di Strada dei Parchi e Laboratori.
I progetti presentati dall'INFN e dalla Strada dei Parchi, che ovviamente ci riserviamo di esaminare con attenzione, si inseriscono nella proposta di messa in sicurezza e dell’isolamento delle due realtà potenzialmente inquinanti.
Abbiamo avuto il piacere di ascoltare, durante l’incontro, molte delle proposte e richieste avanzate nell'ultimo anno dall’Osservatorio. Se si fosse consentito da subito la partecipazione alla Commissione, i tempi forse sarebbero stati più brevi.
In particolare riteniamo importante che si sia chiarito come ogni attività e qualsiasi esperimento dei Laboratori del Gran Sasso dovranno essere sottoposti a Valutazione di Incidenza Ambientale con lo scopo di accertare preventivamente se determinate attività possano avere incidenza significativa sul delicatissimo territorio che li ospita. I Laboratori non potranno più pensare di essere “padroni” di un territorio, ma dovranno, di volta in volta, essere sottoposto a giuste valutazioni relativamente ai possibili effetti dei loro esperimenti. Inoltre tale procedura consentirà alle associazioni di intervenire e controllare.
Nelle proposte presentate da Strada dei Parchi invece è emersa l'agghiacciante riproposizione della costruzione di un terzo tunnel quale elemento di sicurezza: proposta respinta dall'intera Commissione. In ogni caso l'Osservatorio continuerà nella sua opera di informazione alla cittadinanza e di studio dei progetti che entro settembre dovranno essere dettagliati e pronti per la fase del finanziamento.
Resta ancora da affrontare con maggiore coraggio il superamento della normativa Seveso per i Laboratori. Nello specifico lo stoccaggio delle sostanze pericolose all'interno dei Laboratori rappresenta ancora un rischio molto grave per la nostra acqua. Attendiamo di leggere il cronoprogramma che l'INFN dovrà presentare indicando il termine di alcuni esperimenti e l’allontanamento delle sostanze pericolose.
Cogliamo in modo positivo l'apertura di fatto non solo alle proposte delineate in questo anno, ma soprattutto alla partecipazione dell'Osservatorio alla Commissione augurandoci che alla prossima riunione la nostra presenza sia garantita da un invito formale secondo i principi della partecipazione e della trasparenza.