Il progetto petrolifero di Ombrina mare contiene anche una vera e propria raffineria in mare: una grande nave raffineria (FPSO) di 350 metri di lunghezza e 30 di larghezza che, se il progetto venisse approvato, rimarrà per ben 24 anni ormeggiata di fronte alla Costa dei Trabocchi trattando il greggio dei pozzi che faranno capo alla piattaforma Ombrina.
WWF e Legambiente divulgano i documenti ufficiali delle industrie che realizzano le FPSO, in cui queste strutture sono chiamate col loro nome: “refinery”.
Tra questi, a mero titolo di esempio, si segnalano quelli della Samsung Heavy Industries che nella pagina di presentazione delle proprie FPSO le definisce come “Offshore refining plants”. Nell'articolo su una FPSO della Hyundai Heavy Industries questa viene presentata proprio come un “refinery plant on the sea”!
WWF e Legambiente smentiscono, quindi, carte alla mano, il Presidente di Confindustria Chieti, Paolo Primavera, che in un disperato tentativo di difendere l’industria petrolifera ha affermato: “La raffineria trasforma il petrolio in combustibile e ha il suo peso sul territorio e su questo siamo pienamente d'accordo; il cosiddetto centro oli, invece, si occupa del primo trattamento del petrolio, per separare l'acqua e togliere lo zolfo, e a queste strutture non siamo contrari.” Sottolineando anche che: “Alla popolazione non si può dire che un centro oli è una raffineria, bisogna essere chiari”.
A Primavera WWF e Legambiente consigliano di non fidarsi dei dati forniti dai petrolieri e di informarsi da fonti terze. In questo caso sarebbe bastato cercare “FPSO” e “refinery” in un qualunque motore di ricerca per capire come la pratica di nascondersi dietro alle parole sia solo italiana.
Tra l'altro le associazioni riportano integralmente la definizione di "raffinazione" contenuta nell'Enciclopedia degli Idrocarburi ENI-Treccani Vol. II pag. 3: “Il complesso delle lavorazioni eseguite sul greggio per ottenere la gamma di prodotti desiderati viene definito, genericamente, raffinazione del greggio; le raffinerie sono di conseguenza gli stabilimenti industriali dove si svolgono queste lavorazioni. Nella accezione originaria il termine era più rispondente al significato di procedimento atto a depurare una materia prima (o prodotto grezzo), per renderla più idonea all’utilizzo. In passato, infatti, dal petrolio si otteneva, per distillazione ed eventuale trattamento chimico, un solo prodotto: il petrolio illuminante (cherosene). Queste operazioni, di impegno tecnologico modesto, costituivano appunto la raffinazione. Successivamente il termine raffinazione è stato usato per definire l’insieme delle attività tecnologiche sempre più complesse svolte per ottenere dagli oli grezzi minerali una serie di prodotti intermedi e di prodotti commerciali”.
Primavera dunque afferma che non si tratta di una raffineria solo perché non vi si esegue un completo processo di raffinazione. Noi invece affermiamo che è una raffineria in cui si realizza una delle fasi più impattanti a livello ambientale, quella che necessita di una fase di incenerimento.
Pertanto, agli abruzzesi va detto in maniera chiara che si vuole realizzare una raffineria galleggiante di fronte alla loro costa.
Per quanto riguarda l’impatto ambientale delle raffinerie chiamate “centro oli” consigliamo il Presidente Primavera un viaggio a Viggiano ed un giro attorno all’impianto, grande quanto 30 campi di calcio con la sua imponente fiaccola di incenerimento.
Il Presidente Primavera, inoltre, afferma anche che: “In Italia attualmente sono in funzione tre raffinerie, una a Falconara Marittima, una a Taranto e una a La Spezia”.
Ci domandiamo da dove abbia tratto questi dati perché ha dimenticato, ad esempio: Augusta (Esso/Lukoil), Busalla (Iplom), Cremona (Tamoil), Gela (Eni), Livorno (Eni), Mantova (IES), Marghera (tutte le maggiori compagnie), Milazzo (Eni/Q8), Priolo (ERG/LUKoil), Ravenna (Alma Petroli), Roma (Total/ERG), Sannazzaro de' Burgondi (Eni), Sarroch (Saras), Trecate (Esso/ERG) e Ravenna (Agip/Eni).
Per quanto riguarda la raffineria di La Spezia si riferisce forse alla ex-IP che ha cessato la produzione nel 1983 e la cui area in centro città è ancora inutilizzata dopo 30 anni perché la bonifica dell’area a carico dell’Agip-ENI non è ancora terminata.
Di fronte a tante e tali clamorose inesattezze è palese che non può essere certo Confindustria a poter fare da garante, come ha proposto Primavera, a questo dannoso progetto.