Da giorni si accavallano le indiscrezioni su un intervento del Governo per introdurre nel “Decreto Liberalizzazioni” in discussione, norme per facilitare ulteriormente le procedure per ricercare ed estrarre idrocarburi e per eliminare la norma, approvata dal Parlamento nel giugno 2010, che prevede l’interdizione delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare dentro le aree protette e in un raggio di 12 miglia.
“L’Italia già ha un sistema che protegge molto poco il proprio territorio ed i propri cittadini dalle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi”, dichiara Dante Caserta, consigliere nazionale WWF Italia. “Alle società che operano nel settore è garantito un regime fiscale e di agevolazioni estremamente favorevole. Come dimostra il Dossier WWF “Milioni di regali - Italia: Far West delle trivelle”, presentato sul numero oggi in edicola de “L’Espresso”, su 136 concessioni di coltivazione in terra di idrocarburi liquidi e gassosi attive in Italia nel 2010, solo 21 hanno pagato le royalty alle amministrazioni pubbliche italiane, mentre su 70 coltivazioni a mare, le hanno pagate solo 28. Su 59 società che nel 2010 operano in Italia solo 5 pagano le royalty (ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana ed ENI/Mediterranea idrocarburi). In questa situazione, invece di regolamentare meglio il settore, è da irresponsabili mettere a rischio le aree protette costiere e marine, tutelate dalle norme nazionali, internazionali e comunitarie, facendo saltare le norme a loro tutela introdotte poco più di un anno fa. Le aree protette e le popolazioni costiere vanno tutelate garantendo che le bombe ecologiche costituite dalle piattaforme offshore siano quantomeno a distanza di sicurezza, in particolare nel Mare Adriatico, un mare chiuso dove un eventuale incidente sarebbe devastante per l’ambiente e per le economie di tutte le regioni costiere. Per difendere gli interessi dei petrolieri, si vuole far correre il rischio di far ripetere agli italiani l’esperienza che, dopo l’incidente della piattaforma Deepwater Horizon, ha soffocato il mare e l’ambiente del Golfo del Messico e ha messo in crisi le economie del turismo e della pesca di ben 5 Stati degli USA (Alabama, Luisiana, Mississipi, Texas e Florida)”. “In questo quadro” conclude Caserta, “ipotizzare di rendere ancora più semplice l’estrazione e quindi l’uso del petrolio contrasta con una politica di uscita dall’utilizzo delle fonti fossili per una vera green economy ed uno sviluppo sostenibile”.
Domani, sabato 21 gennaio a Monopoli, in Puglia, si svolgerà la manifestazione “Più verde, meno nero”: si tratta di una manifestazione che oltre a coinvolgere la Puglia, interessa i cittadini e le istituzioni di molte regioni del Meridione, prima fra tutte l’Abruzzo che sta vivendo in questi ultimi anni un attacco senza precedenti da parte delle multinazionali del petrolio con oltre il 50% del suo territorio e praticamente tutto il tratto di mare prospiciente la sua costa interessato da istanze di ricerca ed estrazione di idrocarburi.
È importante che le Amministrazioni e le comunità locali siano oggi in difesa del bene comune, costituito dal nostro patrimonio naturale che contribuisce alla ricchezza del Paese, per un futuro sostenibile che abbia al centro le energie pulite e lo sviluppo eco-compatibile del turismo e della filiera agroalimentare.
È, infatti, indispensabile invertire la rotta e fermare questa deriva petrolifera che colpisce tante regioni italiane!
Grazie ad un ampio sistema di esenzioni e di canoni di concessione bassissimi ed una serie di agevolazioni e incentivi, la nostra Penisola e le sue acque sono oggetto di una ricerca sovradimensionata di oro nero e/o di gas. Questo nonostante il petrolio, ad esempio, sia notoriamente poco e di scarsa qualità (la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale e il nostro Paese è al 49° posto tra i produttori).
La corsa all’oro nero sembra inarrestabile: in tutta Italia al 2011 sono 82 le istanze di permesso di ricerca e i permessi di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi in mare (74 dei quali nelle regioni del Centro-Sud, 39 nella sola Sicilia) presentati al Ministero dello Sviluppo economico.
Sono invece 204 le istanze di ricerca e i permessi di ricerca in terra (89 al Nord pari al 44%, 61 al Sud, pari al 30% e 54 nel Centro Italia, pari al 26%; tra cui spiccano nelle diverse aree geografiche: le 52 tra istanze e permessi presentati in Emilia Romagna che vanta il primato del Nord, i 22 in Abruzzo, prima nel Centro, e i 27 nella già colonizzata Basilicata, che ha il primato del Mezzogiorno, seguita dalla Sicilia, con 16).
Invece di aumentare le agevolazioni per i petrolieri ed eliminare le norme a tutela delle aree protette è necessario fare esattamente il contrario. Il WWF chiede che le tutele delle aree a rischio siano aumentate e che si proceda all’eliminazione delle esenzioni e delle agevolazioni attualmente previste.
“L’Italia già ha un sistema che protegge molto poco il proprio territorio ed i propri cittadini dalle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi”, dichiara Dante Caserta, consigliere nazionale WWF Italia. “Alle società che operano nel settore è garantito un regime fiscale e di agevolazioni estremamente favorevole. Come dimostra il Dossier WWF “Milioni di regali - Italia: Far West delle trivelle”, presentato sul numero oggi in edicola de “L’Espresso”, su 136 concessioni di coltivazione in terra di idrocarburi liquidi e gassosi attive in Italia nel 2010, solo 21 hanno pagato le royalty alle amministrazioni pubbliche italiane, mentre su 70 coltivazioni a mare, le hanno pagate solo 28. Su 59 società che nel 2010 operano in Italia solo 5 pagano le royalty (ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana ed ENI/Mediterranea idrocarburi). In questa situazione, invece di regolamentare meglio il settore, è da irresponsabili mettere a rischio le aree protette costiere e marine, tutelate dalle norme nazionali, internazionali e comunitarie, facendo saltare le norme a loro tutela introdotte poco più di un anno fa. Le aree protette e le popolazioni costiere vanno tutelate garantendo che le bombe ecologiche costituite dalle piattaforme offshore siano quantomeno a distanza di sicurezza, in particolare nel Mare Adriatico, un mare chiuso dove un eventuale incidente sarebbe devastante per l’ambiente e per le economie di tutte le regioni costiere. Per difendere gli interessi dei petrolieri, si vuole far correre il rischio di far ripetere agli italiani l’esperienza che, dopo l’incidente della piattaforma Deepwater Horizon, ha soffocato il mare e l’ambiente del Golfo del Messico e ha messo in crisi le economie del turismo e della pesca di ben 5 Stati degli USA (Alabama, Luisiana, Mississipi, Texas e Florida)”. “In questo quadro” conclude Caserta, “ipotizzare di rendere ancora più semplice l’estrazione e quindi l’uso del petrolio contrasta con una politica di uscita dall’utilizzo delle fonti fossili per una vera green economy ed uno sviluppo sostenibile”.
Domani, sabato 21 gennaio a Monopoli, in Puglia, si svolgerà la manifestazione “Più verde, meno nero”: si tratta di una manifestazione che oltre a coinvolgere la Puglia, interessa i cittadini e le istituzioni di molte regioni del Meridione, prima fra tutte l’Abruzzo che sta vivendo in questi ultimi anni un attacco senza precedenti da parte delle multinazionali del petrolio con oltre il 50% del suo territorio e praticamente tutto il tratto di mare prospiciente la sua costa interessato da istanze di ricerca ed estrazione di idrocarburi.
È importante che le Amministrazioni e le comunità locali siano oggi in difesa del bene comune, costituito dal nostro patrimonio naturale che contribuisce alla ricchezza del Paese, per un futuro sostenibile che abbia al centro le energie pulite e lo sviluppo eco-compatibile del turismo e della filiera agroalimentare.
È, infatti, indispensabile invertire la rotta e fermare questa deriva petrolifera che colpisce tante regioni italiane!
Grazie ad un ampio sistema di esenzioni e di canoni di concessione bassissimi ed una serie di agevolazioni e incentivi, la nostra Penisola e le sue acque sono oggetto di una ricerca sovradimensionata di oro nero e/o di gas. Questo nonostante il petrolio, ad esempio, sia notoriamente poco e di scarsa qualità (la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1% del prodotto globale e il nostro Paese è al 49° posto tra i produttori).
La corsa all’oro nero sembra inarrestabile: in tutta Italia al 2011 sono 82 le istanze di permesso di ricerca e i permessi di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi in mare (74 dei quali nelle regioni del Centro-Sud, 39 nella sola Sicilia) presentati al Ministero dello Sviluppo economico.
Sono invece 204 le istanze di ricerca e i permessi di ricerca in terra (89 al Nord pari al 44%, 61 al Sud, pari al 30% e 54 nel Centro Italia, pari al 26%; tra cui spiccano nelle diverse aree geografiche: le 52 tra istanze e permessi presentati in Emilia Romagna che vanta il primato del Nord, i 22 in Abruzzo, prima nel Centro, e i 27 nella già colonizzata Basilicata, che ha il primato del Mezzogiorno, seguita dalla Sicilia, con 16).
Invece di aumentare le agevolazioni per i petrolieri ed eliminare le norme a tutela delle aree protette è necessario fare esattamente il contrario. Il WWF chiede che le tutele delle aree a rischio siano aumentate e che si proceda all’eliminazione delle esenzioni e delle agevolazioni attualmente previste.
L'articolo de L'Espresso si trova a questo link: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/trivelle-il-dossier-del-wwf/2172420