13.7.11

Una gestione della pesca suicida

La proposta di riforma della Politica Comunitaria della Pesca (PCP) annunciata dalla Commissione Europea non è ambiziosa e ciò richiede da parte di tutti gli attori in gioco uno sforzo preciso e costante per instaurare, a partire dal 2013, una gestione della pesca sostenibile.
Cresce la preoccupazione tra la società civile, l’imprenditoria di settore ed i consumatori per la gestione fallimentare della pesca in Europa degli anni passati. La Politica Comunitaria della Pesca viene riformata ogni dieci anni. Siamo quindi di fronte ad un’occasione unica per affrontare con serietà un processo di riforma che ristabilisca una logica nel come si pesca, permetta il recupero degli stock e riporti fiducia ed opportunità in un settore economico disastrato. Sebbene ci sia qualche elemento positivo, troppo poco si è fatto per promuovere un radicale cambiamento. Ora il tutto passa in mano al Parlamento Europeo e agli Stati Membri, a cui si chiede un atto di responsabilità, coerenza e coscienza.
La proposta, infatti, sottolinea la necessità di portare gli stock ittici a livelli di pesca sostenibile in accordo a criteri scientifici specifici, ma manca completamente di chiari e precisi meccanismi e calendari per ottenere quanto auspicato.
Nelle acque europee, di fatto, il 70% degli stock ittici sono eccessivamente sfruttati. Si pescano più pesci di quanti ne nascono. Specie simbolo come il tonno rosso del Mediterraneo o il baccalà dell’Atlantico sono stati enormemente sfruttati per decenni. L’Europa ha purtroppo sempre mal gestito la pesca ed oggi è indispensabile una vera e propria riforma radicale e coraggiosa della Politica Comunitaria della Pesca.
La proposta della Commissione Europea è carente di una chiara visione per ridurre quello che è il problema centrale della pesca in Europa, la cosiddetta “overcapacity”: abbiamo troppe barche per troppi pochi pesci.
Contiene una messa al bando non efficace dei “rigetti a mare” (l’insulsa pratica di rigettare in mare specie commestibili, ma di scarso valore commerciale). È poi carente nel rispondere alle aspettative degli attori in gioco che chiedono una maggiore regionalizzazione ed una cogestione nel settore. L’Europa pare voler rinunciare ad assumere quel ruolo di leader che potrebbe avere, per responsabilità e cultura, nell’arena della gestione della pesca in ambito internazionale.
Non è poi possibile che un’unica proposta di soluzione del problema delle troppe barche possa adattarsi ad un contesto eterogeneo e complicato che comprende i pescatori di Pesce Spada in Puglia e di Baccalà in Scozia: attrezzi diversi, barche diverse, culture diverse che difficilmente si piegheranno ad un meccanismo poco chiaro. Sembra più che ci si voglia affidare alla “legge del più forte”, e quindi al “mercato”, che ad una gestione basata su elementi scientifici che guardi alla conservazione delle risorse naturali. Si punta ad una industrializzazione della pesca contraria ad ogni ipotesi di mantenimento della pesca tradizionale ed artigianale.
Per questo, in concomitanza con il lancio della proposta di riforma della Politica Comunitaria della Pesca della Commissione Europea, il WWF ha lanciato una petizione indirizzata al Presidente ed ai Membri del Parlamento Europeo che si può firmare sul sito www.wwf.it/petizionepesca.