Da Mimì D’Aurora (Responsabile del Coordinamento Parchi della Cgil Abruzzo), Massimo Pellegrini (Presidente dell’Istituto Aree Protette Abruzzo - WWF) e Luigi Piccioni (Storico dell’ambiente, Dipartimento di Economia e Statistica dell’Università della Calabria), una interessante riflessione sull'esperienza ed i risultati della Regione dei Parchi.
L’Abruzzo è da sempre il “piccolo” Abruzzo, l’Abruzzo marginale, l’Abruzzo che non è né carne né pesce, che non è né Nord né Sud, che politicamente non è propriamente né “rosso” né “bianco” né “nero”, la regione che altrove si ha spesso difficoltà a identificare con uno stereotipo, una città, una lingua.
Bene, questo Abruzzo ha storicamente legato la propria immagine a due soli slogan: il primo - “Abruzzo forte e gentile” - coniato negli anni Ottanta dell’Ottocento a Milano, apparentemente elogiativo, ma che ribadiva in sostanza questa indeterminatezza di fondo, e l’altro - “La regione dei parchi” - creato oltre cent’anni dopo dagli abruzzesi stessi basandosi al contrario su un dato di fatto - materiale e culturale - reale e altamente significativo.
Lo slogan “Abruzzo regione dei parchi” nasceva infatti nel 1989 e veniva ufficialmente adottato nel cuore di una battaglia politica e istituzionale che vedeva sindacati, intellettuali, partiti, parchi esistenti, associazioni ed enti locali della regione appenninica attivamente impegnati nella costruzione di un’ampia rete di aree protette già preconizzata nella legge regionale del 1980, ma divenuta ancor più fattibile grazie all’avanzato iter della legge quadro nazionale sulle aree protette. Lo slancio corale dell’Abruzzo si stava rivelando anzi uno straordinario propellente per l’approvazione di una legge altamente a rischio, difficile, di cui si discuteva inutilmente da trent’anni ma che non tutti volevano, anzi molti osteggiavano.
La battaglia fu coronata da un successo ampio. La legge quadro anzitutto passò di un soffio, nel 1991, anche grazie all’impressione suscitata dalla raccolta di 30.000 firme abruzzesi in sostegno della creazione dei nuovi parchi; entro la metà del decennio la superficie protetta raggiungeva il 28% del territorio, un primato nazionale tanto più impressionante considerando che al momento della nascita dell’istituto regionale tale superficie era inferiore al 3%; attraverso progetti ambiziosi come ARVE-Abruzzo Regione Verde d’Europa e successivamente APE-Appennino Parco d’Europa i parchi, le associazioni e gli enti locali si candidavano a guidare un ampio processo di riconversione ecologica dell’economia montana non solo abruzzese; il turismo naturalistico e più in generale il turismo “sostenibile” diveniva una sfida condivisa, una priorità della politica regionale.
Sottolineare il concetto di “Abruzzo regione dei parchi” significava dunque da un lato rivendicare e valorizzare questa straordinaria eredità e dall’altro continuare a impegnarsi per rendere la tutela ambientale e lo sviluppo sostenibile una delle priorità culturali e istituzionali di tutti gli abruzzesi.
Lo scenario che si presenta davanti ai nostri occhi quindici, venti anni dopo induce a chiedersi cosa rimane di quella eredità, di quell’impegno: è ancora possibile parlare di “regione dei parchi” nel momento in cui si fa astrazione dalle pure e semplici cifre della superficie protetta o del numero degli enti esistenti? Ha ancora senso pensare a una “regione verde” come paradigma e come progetto, interessante anche al di là dei confini regionali, oppure non lo ha più?
Ma lasciamo parlare i fatti.
Un primo dato, e forse il più esplicito è quello costituito dalle scelte effettuate dalla Regione nell’allocare le risorse del Fondo per le Aree Sottoutilizzate 2007-213. Quasi a simboleggiare l’azzeramento di un percorso compiuto con la realizzazione del sistema di Parchi abruzzesi e l’affermazione di una nuova gerarchia di priorità strategiche per i territori montani, non viene previsto neanche un euro per progetti da realizzare all’interno dei parchi mentre si impegnano ben 37,5 milioni di euro per sei progetti di nuovi impianti di risalita, finalizzati a “migliorare l’accessibilità e la mobilità nei centri abitati e nelle aree montane attraverso modalità di trasporto sostenibile (filovie, funivie, ecc)”. Un ritorno in piena regola, insomma, a quella politica degli anni ‘60 e ‘70 che individuava nel “modello Roccaraso” (impianti di risalita, seconde case, etc.) l’unica via da seguire per la rinascita delle aree montane.
Ma non si tratta di un caso isolato. Lo stesso tipo di impostazione sta alla base della programmazione 2007-2013 dei fondi comunitari e nazionali (POR-FESR, FSE, PSR, FAS). Nel caso del PSR le aziende agricole ricadenti all’interno dei parchi mancano di ogni priorità o di ogni attribuzione di punteggi sostanziali che ne privilegi l’accesso agli aiuti comunitari. A fronte di circa 40 progetti finanziati per le aree protette abruzzesi nella programmazione DOCUP 2000-2006 oggi non vi sono risorse messe a disposizione degli Enti Parco per finanziare progetti tesi a promuovere l’incontro fra tutela della natura e sviluppo sostenibile realizzando nel contempo una migliore attrattività e competitività del territorio. Le poche risorse a favore di riserve e aree Natura 2000, invece, compensano a malapena i drastici ridimensionamenti precedenti (nel 2010 un quarto delle risorse del 2002).
Tutto ciò pare configurare un consapevole abbandono del progetto strategico che faceva del sistema dei parchi abruzzesi un volano di sviluppo regionale, non solo nelle aree montane, proprio nel momento in cui la crisi economica dovrebbe indurre a percorrere nuove strade, a sperimentare nuovi modelli di sviluppo economico, a proseguire nella ricerca iniziata pionieristicamente quasi trent’anni fa anticipando molte tematiche che si sarebbero affermate solo in seguito.
Di fronte a questi duri fatti la retorica regionale continua a tenere le aree protette come un fiore all’occhiello, ma senza ormai fondamenti concreti. Il Documento di Programmazione Economico Finanziaria della Regione non manca infatti di proclamare che “centrale nella strategia di pianificazione territoriale regionale è la messa in rete delle aree protette” e che “i Parchi, vanto del nostro territorio, dovranno essere dotati di maggiori risorse economiche ed umane”, ma lo fa nel momento stesso in cui tutti i fondi disponibili fino al 2013 sono stati impegnati altrove.
A questo già drammatico e crescente scarto tra proclamazioni strategico-programmatiche e concreto disimpegno da parte della Regione, magari in favore di politiche di segno opposto, fa riscontro la grave situazione degli organismi dirigenti degli Enti Parco ove l’intesa politica sulle nomine sembra ormai mettere del tutto in ombra la loro reale efficacia.
Una parte consistente dei parchi abruzzesi riesce infatti a funzionare soprattutto grazie ai sacrifici del personale, una parte consistente del quale è stato stabilizzato dal precedente governo, mentre sul fronte degli organismi istituzionali la situazione è contrassegnata dall’improvvisazione e dalla precarietà. Al momento attuale l’unica area protetta dove, sia pur molto lentamente e faticosamente, si è riusciti a conquistare modalità di funzionamento normali è il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con presidente, direttore, consiglio direttivo, comunità del Parco tutti regolarmente insediati e soprattutto rispondenti a buoni standard professionali e di rappresentatività democratica. Il Parco del Gran Sasso-Monti della Laga, fra i più estesi d’Italia, un territorio immenso da tutelare e promuovere, da anni è inspiegabilmente commissariato e privo di organi istituzionali di ogni livello: Presidente, direttivo, Comunità del Parco mentre la stessa Direzione è provvisoria. Il Parco della Majella, l’unico con un direttore stabile dal 1997 nominato con ripetute proroghe e riconferme, da tempo non ha una Comunità del Parco funzionante, manca di Consiglio Direttivo dal novembre 2007 ed il Presidente, da anni coordinatore del PdL aquilano e attuale capogruppo in Consiglio regionale, al di à di ogni altra considerazione non può che esercitare con difficoltà i tre diversi ruoli. Tra i grandi parchi ultima, ma non meno grave è l’incredibile vicenda del commissariamento del parco regionale del Sirente-Velino, operata con il semplice inserimento di una riga nella finanziaria regionale, all’insaputa degli organi legittimamente designati e senza alcun motivo reale.
È del tutto evidente che in questo modo da un lato viene esclusa la partecipazione delle comunità locali e delle forze sociali, molte delle quali vere pioniere dei parchi stessi, alla programmazione e al governo dei territori sottoposti a tutela, e da un altro lato si deteriorano gravemente sia l’operatività che la funzione che i parchi possono svolgere come portatori di un modello di sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda la Regione è necessario aggiungere che il Servizio Parchi è privo di dirigente, che l’Ufficio Parchi può disporre di quattro soli dipendenti, che nelle 25 riserve naturali regionali non è in servizio neppure un dipendente a tempo indeterminato e che si sta smantellando la direzione preposta a sovrintendere il carattere di sostenibilità ambientale della nostra agricoltura con l’eliminazione dell’unico Servizio Agroambientale che possedeva, seppur limitate, competenze in materia. Anche i progetti che testimoniavano di una volontà strategica della Regione, progetti che avevano tra l’altro contribuito a fare la storia dei parchi in Italia sono in dismissione: l’Abruzzo era stato l’originario capofila di APE-Appennino Parco d’Europa e ora rimane capofila del solo segmento dell’Italia centrale, un segmento peraltro svuotato dai continui tagli di fondi e incapace, a differenza del segmento settentrionale, di svolgere anche le minime funzioni di animazione e raccordo interistituzionale. Quasi a simboleggiare ironicamente questo svuotamento, a metà dicembre la Regione ha inaugurato la sede ufficiale dell’organismo appenninico … a Scerne, 281 metri sul livello del mare, praticamente sulla costa.
Nel percorso compiuto fino ad oggi le aree protette hanno dimostrato di poter influire positivamente sulla qualità del territorio, dell’economia e della cultura locale e regionale in quanto portatrici di un progetto che tiene insieme biodiversità, storia, cultura, tradizioni, buone pratiche di sostenibilità, attività economiche (agricoltura, ecoturismo, manutenzione del territorio, servizi, ecc), nuove forme di gestione del territorio e meriterebbero non solo che si continuasse a valorizzare questo loro ruolo, ma che si tornasse a farne un elemento di positiva contaminazione rispetto al territorio circostante, nello spirito delle battaglie e delle impostazioni affermatesi nel corso degli anni ‘80. Quel che sta succedendo invece è che sembra essere passata l’idea inversa, secondo la quale siccome l’ambiente lo si tutela nei parchi nel resto del territorio è possibile fare qualsiasi cosa: parallelamente alla stentata e confusa vita delle aree protette, infatti, la qualità dell’ambiente sul territorio regionale è andata progressivamente e pesantemente degradando sia sotto il profilo della qualità dell’aria e dell’acqua sia sotto quello urbanistico.
Non mancano, d’altro canto, responsabilità dirette degli Enti Parco che oggi, salvo qualche eccezione, avrebbero oltretutto bisogno di nuova linfa per collocare la loro missione su un terreno più avanzato sottolineando, accanto alla tutela naturalistica e ambientale (che deve comunque rimanere la funzione primaria), la loro funzione di luogo del dialogo interistituzionale, soggetto propulsore ed animatore dello sviluppo locale sostenibile.
Si sta verificando sempre più spesso, infatti, che i Parchi nazionali manchino agli appuntamenti della programmazione e pianificazione della Regione limitandosi a una “gestione secondo le proprie competenze”, sia territoriali che normative e non è di conseguenza un caso se in più di una occasione i potenziali danni ambientali o i rischi di non rimanere esclusi dai finanziamenti comunitari sono stati sollevati non dagli enti parco, ma dalle associazioni ambientaliste o di categoria.
Se si pensa inoltre alle iniziative messe in atto dai grandi parchi ci si accorge che in termini sia di conservazione attiva che di sviluppo ecocompatibile sono spesso le piccole riserve naturali a dare l’esempio, soprattutto quando la gestione è affidata a cooperative ricche di capacità professionali e voglia di fare. I centri di visita, i musei e le aree faunistiche dei parchi ricalcano infatti quanto realizzato da Franco Tassi negli anni ’70, manca a volte la fantasia o la capacità di attingere alle idee innovative che vengono sviluppate in altre nazioni europee con grandi vantaggi non solo per la conservazione, ma anche per le economie locali. E così buona parte dei fondi (decine di milioni di euro) per investimenti vanno a creare o ristrutturare edifici, rifugi, cantoniere e caselli ferroviari che in maggioranza chiudono a pochi giorni o mesi dalle solenni inaugurazioni restando come piccole cattedrali nel deserto.
Detto questo, va comunque sottolineato che nonostante le difficoltà operative e la perdurante mancanza di indirizzi gestionali da parte del Ministero dell’Ambiente i grandi parchi abruzzesi rappresentano ancora un esempio d’avanguardia per alcuni campi di intervento ed attività specifiche, un esempio purtroppo sottovalutato da parte della Regione e di molti Enti Locali. È questo il caso delle azioni intraprese per garantire corrette forme di risarcimento dei danni causati dalla fauna selvatica, per aiutare la zootecnia di montagna, per la gestione dei giardini botanici, ma anche per la valorizzazione e la promozione dei prodotti tipici e nel recupero e diffusione di antichi cultivar. In tutti questi casi i parchi hanno certamente realizzato molto, riempiendo spesso vuoti e ritardi della Regione. Nel campo della ricerca e del monitoraggio della biodiversità inoltre i parchi hanno sicuramente colmato enormi lacune conoscitive che altrove invece rimangono tali o vengono ridotte solo grazie alle scarse iniziative delle Università o di gruppi di volontari.
La “regione dei parchi” versa quindi in un grave stato di colpevole crisi, sia operativa che d’identità, ma non ha del tutto disperso le sue potenzialità e le motivazioni che l’hanno fatta nascere non solo non sono superate ma stanno riguadagnando attualità.
In questo periodo, infatti, nel quale le risorse finanziarie destinate ai parchi dal MATTM diminuiscono costantemente, le Comunità Montane perdono ruolo e finanziamenti, la Regione ed i Comuni sopravvivono con risorse sempre più scarse, la disoccupazione nelle aree industriali alle porte dei parchi avanza ad un ritmo allarmante è ancora più importante che in passato saper “usare” i parchi come soggetti attivi di una programmazione economica ed una pianificazione di larga scala. Non più quindi ulteriori enti di gestione con competenze e risorse autonome, ma veri e propri attori alla pari degli altri enti territoriali in un rapporto mutuo di sana collaborazione e di piena implementazione delle reciproche risorse, come non sempre sta avvenendo in Abruzzo.
Buoni esempi in tal senso vengono invece da altre nazioni europee e persino da altre regioni italiane come il Trentino dove la partecipazione e la concertazione permettono di ottimizzare non solo gli interventi di valorizzazione del territorio ma anche quelli di conservazione come la reintroduzione dell’Orso bruno che vede da anni la partecipazione attiva non solo degli enti parco ma anche della Provincia Autonoma, delle Comunità locali, delle Associazioni venatorie ed Ambientaliste. Ed i risultati si vedono: oggi in Trentino, dove la specie era praticamente estinta, vivono più o meno tanti orsi quanti ne sopravvivono in Abruzzo…
Perché - dunque - non deve essere di nuovo questa la sfida del sistema delle aree protette abruzzesi? Perché enti parco, associazioni ambientaliste, enti locali, partiti, sindacati, comitati di cittadini non guardano criticamente in faccia a una realtà che si muove inerzialmente e spesso nella direzione sbagliata e non provano a riprendere su questi argomenti una discussione e una progettazione da troppo tempo interrotte?
Questo - da semplici cittadini - è il nostro auspicio, nella speranza che venga raccolto.
L’Abruzzo è da sempre il “piccolo” Abruzzo, l’Abruzzo marginale, l’Abruzzo che non è né carne né pesce, che non è né Nord né Sud, che politicamente non è propriamente né “rosso” né “bianco” né “nero”, la regione che altrove si ha spesso difficoltà a identificare con uno stereotipo, una città, una lingua.
Bene, questo Abruzzo ha storicamente legato la propria immagine a due soli slogan: il primo - “Abruzzo forte e gentile” - coniato negli anni Ottanta dell’Ottocento a Milano, apparentemente elogiativo, ma che ribadiva in sostanza questa indeterminatezza di fondo, e l’altro - “La regione dei parchi” - creato oltre cent’anni dopo dagli abruzzesi stessi basandosi al contrario su un dato di fatto - materiale e culturale - reale e altamente significativo.
Lo slogan “Abruzzo regione dei parchi” nasceva infatti nel 1989 e veniva ufficialmente adottato nel cuore di una battaglia politica e istituzionale che vedeva sindacati, intellettuali, partiti, parchi esistenti, associazioni ed enti locali della regione appenninica attivamente impegnati nella costruzione di un’ampia rete di aree protette già preconizzata nella legge regionale del 1980, ma divenuta ancor più fattibile grazie all’avanzato iter della legge quadro nazionale sulle aree protette. Lo slancio corale dell’Abruzzo si stava rivelando anzi uno straordinario propellente per l’approvazione di una legge altamente a rischio, difficile, di cui si discuteva inutilmente da trent’anni ma che non tutti volevano, anzi molti osteggiavano.
La battaglia fu coronata da un successo ampio. La legge quadro anzitutto passò di un soffio, nel 1991, anche grazie all’impressione suscitata dalla raccolta di 30.000 firme abruzzesi in sostegno della creazione dei nuovi parchi; entro la metà del decennio la superficie protetta raggiungeva il 28% del territorio, un primato nazionale tanto più impressionante considerando che al momento della nascita dell’istituto regionale tale superficie era inferiore al 3%; attraverso progetti ambiziosi come ARVE-Abruzzo Regione Verde d’Europa e successivamente APE-Appennino Parco d’Europa i parchi, le associazioni e gli enti locali si candidavano a guidare un ampio processo di riconversione ecologica dell’economia montana non solo abruzzese; il turismo naturalistico e più in generale il turismo “sostenibile” diveniva una sfida condivisa, una priorità della politica regionale.
Sottolineare il concetto di “Abruzzo regione dei parchi” significava dunque da un lato rivendicare e valorizzare questa straordinaria eredità e dall’altro continuare a impegnarsi per rendere la tutela ambientale e lo sviluppo sostenibile una delle priorità culturali e istituzionali di tutti gli abruzzesi.
Lo scenario che si presenta davanti ai nostri occhi quindici, venti anni dopo induce a chiedersi cosa rimane di quella eredità, di quell’impegno: è ancora possibile parlare di “regione dei parchi” nel momento in cui si fa astrazione dalle pure e semplici cifre della superficie protetta o del numero degli enti esistenti? Ha ancora senso pensare a una “regione verde” come paradigma e come progetto, interessante anche al di là dei confini regionali, oppure non lo ha più?
Ma lasciamo parlare i fatti.
Un primo dato, e forse il più esplicito è quello costituito dalle scelte effettuate dalla Regione nell’allocare le risorse del Fondo per le Aree Sottoutilizzate 2007-213. Quasi a simboleggiare l’azzeramento di un percorso compiuto con la realizzazione del sistema di Parchi abruzzesi e l’affermazione di una nuova gerarchia di priorità strategiche per i territori montani, non viene previsto neanche un euro per progetti da realizzare all’interno dei parchi mentre si impegnano ben 37,5 milioni di euro per sei progetti di nuovi impianti di risalita, finalizzati a “migliorare l’accessibilità e la mobilità nei centri abitati e nelle aree montane attraverso modalità di trasporto sostenibile (filovie, funivie, ecc)”. Un ritorno in piena regola, insomma, a quella politica degli anni ‘60 e ‘70 che individuava nel “modello Roccaraso” (impianti di risalita, seconde case, etc.) l’unica via da seguire per la rinascita delle aree montane.
Ma non si tratta di un caso isolato. Lo stesso tipo di impostazione sta alla base della programmazione 2007-2013 dei fondi comunitari e nazionali (POR-FESR, FSE, PSR, FAS). Nel caso del PSR le aziende agricole ricadenti all’interno dei parchi mancano di ogni priorità o di ogni attribuzione di punteggi sostanziali che ne privilegi l’accesso agli aiuti comunitari. A fronte di circa 40 progetti finanziati per le aree protette abruzzesi nella programmazione DOCUP 2000-2006 oggi non vi sono risorse messe a disposizione degli Enti Parco per finanziare progetti tesi a promuovere l’incontro fra tutela della natura e sviluppo sostenibile realizzando nel contempo una migliore attrattività e competitività del territorio. Le poche risorse a favore di riserve e aree Natura 2000, invece, compensano a malapena i drastici ridimensionamenti precedenti (nel 2010 un quarto delle risorse del 2002).
Tutto ciò pare configurare un consapevole abbandono del progetto strategico che faceva del sistema dei parchi abruzzesi un volano di sviluppo regionale, non solo nelle aree montane, proprio nel momento in cui la crisi economica dovrebbe indurre a percorrere nuove strade, a sperimentare nuovi modelli di sviluppo economico, a proseguire nella ricerca iniziata pionieristicamente quasi trent’anni fa anticipando molte tematiche che si sarebbero affermate solo in seguito.
Di fronte a questi duri fatti la retorica regionale continua a tenere le aree protette come un fiore all’occhiello, ma senza ormai fondamenti concreti. Il Documento di Programmazione Economico Finanziaria della Regione non manca infatti di proclamare che “centrale nella strategia di pianificazione territoriale regionale è la messa in rete delle aree protette” e che “i Parchi, vanto del nostro territorio, dovranno essere dotati di maggiori risorse economiche ed umane”, ma lo fa nel momento stesso in cui tutti i fondi disponibili fino al 2013 sono stati impegnati altrove.
A questo già drammatico e crescente scarto tra proclamazioni strategico-programmatiche e concreto disimpegno da parte della Regione, magari in favore di politiche di segno opposto, fa riscontro la grave situazione degli organismi dirigenti degli Enti Parco ove l’intesa politica sulle nomine sembra ormai mettere del tutto in ombra la loro reale efficacia.
Una parte consistente dei parchi abruzzesi riesce infatti a funzionare soprattutto grazie ai sacrifici del personale, una parte consistente del quale è stato stabilizzato dal precedente governo, mentre sul fronte degli organismi istituzionali la situazione è contrassegnata dall’improvvisazione e dalla precarietà. Al momento attuale l’unica area protetta dove, sia pur molto lentamente e faticosamente, si è riusciti a conquistare modalità di funzionamento normali è il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, con presidente, direttore, consiglio direttivo, comunità del Parco tutti regolarmente insediati e soprattutto rispondenti a buoni standard professionali e di rappresentatività democratica. Il Parco del Gran Sasso-Monti della Laga, fra i più estesi d’Italia, un territorio immenso da tutelare e promuovere, da anni è inspiegabilmente commissariato e privo di organi istituzionali di ogni livello: Presidente, direttivo, Comunità del Parco mentre la stessa Direzione è provvisoria. Il Parco della Majella, l’unico con un direttore stabile dal 1997 nominato con ripetute proroghe e riconferme, da tempo non ha una Comunità del Parco funzionante, manca di Consiglio Direttivo dal novembre 2007 ed il Presidente, da anni coordinatore del PdL aquilano e attuale capogruppo in Consiglio regionale, al di à di ogni altra considerazione non può che esercitare con difficoltà i tre diversi ruoli. Tra i grandi parchi ultima, ma non meno grave è l’incredibile vicenda del commissariamento del parco regionale del Sirente-Velino, operata con il semplice inserimento di una riga nella finanziaria regionale, all’insaputa degli organi legittimamente designati e senza alcun motivo reale.
È del tutto evidente che in questo modo da un lato viene esclusa la partecipazione delle comunità locali e delle forze sociali, molte delle quali vere pioniere dei parchi stessi, alla programmazione e al governo dei territori sottoposti a tutela, e da un altro lato si deteriorano gravemente sia l’operatività che la funzione che i parchi possono svolgere come portatori di un modello di sviluppo sostenibile.
Per quanto riguarda la Regione è necessario aggiungere che il Servizio Parchi è privo di dirigente, che l’Ufficio Parchi può disporre di quattro soli dipendenti, che nelle 25 riserve naturali regionali non è in servizio neppure un dipendente a tempo indeterminato e che si sta smantellando la direzione preposta a sovrintendere il carattere di sostenibilità ambientale della nostra agricoltura con l’eliminazione dell’unico Servizio Agroambientale che possedeva, seppur limitate, competenze in materia. Anche i progetti che testimoniavano di una volontà strategica della Regione, progetti che avevano tra l’altro contribuito a fare la storia dei parchi in Italia sono in dismissione: l’Abruzzo era stato l’originario capofila di APE-Appennino Parco d’Europa e ora rimane capofila del solo segmento dell’Italia centrale, un segmento peraltro svuotato dai continui tagli di fondi e incapace, a differenza del segmento settentrionale, di svolgere anche le minime funzioni di animazione e raccordo interistituzionale. Quasi a simboleggiare ironicamente questo svuotamento, a metà dicembre la Regione ha inaugurato la sede ufficiale dell’organismo appenninico … a Scerne, 281 metri sul livello del mare, praticamente sulla costa.
Nel percorso compiuto fino ad oggi le aree protette hanno dimostrato di poter influire positivamente sulla qualità del territorio, dell’economia e della cultura locale e regionale in quanto portatrici di un progetto che tiene insieme biodiversità, storia, cultura, tradizioni, buone pratiche di sostenibilità, attività economiche (agricoltura, ecoturismo, manutenzione del territorio, servizi, ecc), nuove forme di gestione del territorio e meriterebbero non solo che si continuasse a valorizzare questo loro ruolo, ma che si tornasse a farne un elemento di positiva contaminazione rispetto al territorio circostante, nello spirito delle battaglie e delle impostazioni affermatesi nel corso degli anni ‘80. Quel che sta succedendo invece è che sembra essere passata l’idea inversa, secondo la quale siccome l’ambiente lo si tutela nei parchi nel resto del territorio è possibile fare qualsiasi cosa: parallelamente alla stentata e confusa vita delle aree protette, infatti, la qualità dell’ambiente sul territorio regionale è andata progressivamente e pesantemente degradando sia sotto il profilo della qualità dell’aria e dell’acqua sia sotto quello urbanistico.
Non mancano, d’altro canto, responsabilità dirette degli Enti Parco che oggi, salvo qualche eccezione, avrebbero oltretutto bisogno di nuova linfa per collocare la loro missione su un terreno più avanzato sottolineando, accanto alla tutela naturalistica e ambientale (che deve comunque rimanere la funzione primaria), la loro funzione di luogo del dialogo interistituzionale, soggetto propulsore ed animatore dello sviluppo locale sostenibile.
Si sta verificando sempre più spesso, infatti, che i Parchi nazionali manchino agli appuntamenti della programmazione e pianificazione della Regione limitandosi a una “gestione secondo le proprie competenze”, sia territoriali che normative e non è di conseguenza un caso se in più di una occasione i potenziali danni ambientali o i rischi di non rimanere esclusi dai finanziamenti comunitari sono stati sollevati non dagli enti parco, ma dalle associazioni ambientaliste o di categoria.
Se si pensa inoltre alle iniziative messe in atto dai grandi parchi ci si accorge che in termini sia di conservazione attiva che di sviluppo ecocompatibile sono spesso le piccole riserve naturali a dare l’esempio, soprattutto quando la gestione è affidata a cooperative ricche di capacità professionali e voglia di fare. I centri di visita, i musei e le aree faunistiche dei parchi ricalcano infatti quanto realizzato da Franco Tassi negli anni ’70, manca a volte la fantasia o la capacità di attingere alle idee innovative che vengono sviluppate in altre nazioni europee con grandi vantaggi non solo per la conservazione, ma anche per le economie locali. E così buona parte dei fondi (decine di milioni di euro) per investimenti vanno a creare o ristrutturare edifici, rifugi, cantoniere e caselli ferroviari che in maggioranza chiudono a pochi giorni o mesi dalle solenni inaugurazioni restando come piccole cattedrali nel deserto.
Detto questo, va comunque sottolineato che nonostante le difficoltà operative e la perdurante mancanza di indirizzi gestionali da parte del Ministero dell’Ambiente i grandi parchi abruzzesi rappresentano ancora un esempio d’avanguardia per alcuni campi di intervento ed attività specifiche, un esempio purtroppo sottovalutato da parte della Regione e di molti Enti Locali. È questo il caso delle azioni intraprese per garantire corrette forme di risarcimento dei danni causati dalla fauna selvatica, per aiutare la zootecnia di montagna, per la gestione dei giardini botanici, ma anche per la valorizzazione e la promozione dei prodotti tipici e nel recupero e diffusione di antichi cultivar. In tutti questi casi i parchi hanno certamente realizzato molto, riempiendo spesso vuoti e ritardi della Regione. Nel campo della ricerca e del monitoraggio della biodiversità inoltre i parchi hanno sicuramente colmato enormi lacune conoscitive che altrove invece rimangono tali o vengono ridotte solo grazie alle scarse iniziative delle Università o di gruppi di volontari.
La “regione dei parchi” versa quindi in un grave stato di colpevole crisi, sia operativa che d’identità, ma non ha del tutto disperso le sue potenzialità e le motivazioni che l’hanno fatta nascere non solo non sono superate ma stanno riguadagnando attualità.
In questo periodo, infatti, nel quale le risorse finanziarie destinate ai parchi dal MATTM diminuiscono costantemente, le Comunità Montane perdono ruolo e finanziamenti, la Regione ed i Comuni sopravvivono con risorse sempre più scarse, la disoccupazione nelle aree industriali alle porte dei parchi avanza ad un ritmo allarmante è ancora più importante che in passato saper “usare” i parchi come soggetti attivi di una programmazione economica ed una pianificazione di larga scala. Non più quindi ulteriori enti di gestione con competenze e risorse autonome, ma veri e propri attori alla pari degli altri enti territoriali in un rapporto mutuo di sana collaborazione e di piena implementazione delle reciproche risorse, come non sempre sta avvenendo in Abruzzo.
Buoni esempi in tal senso vengono invece da altre nazioni europee e persino da altre regioni italiane come il Trentino dove la partecipazione e la concertazione permettono di ottimizzare non solo gli interventi di valorizzazione del territorio ma anche quelli di conservazione come la reintroduzione dell’Orso bruno che vede da anni la partecipazione attiva non solo degli enti parco ma anche della Provincia Autonoma, delle Comunità locali, delle Associazioni venatorie ed Ambientaliste. Ed i risultati si vedono: oggi in Trentino, dove la specie era praticamente estinta, vivono più o meno tanti orsi quanti ne sopravvivono in Abruzzo…
Perché - dunque - non deve essere di nuovo questa la sfida del sistema delle aree protette abruzzesi? Perché enti parco, associazioni ambientaliste, enti locali, partiti, sindacati, comitati di cittadini non guardano criticamente in faccia a una realtà che si muove inerzialmente e spesso nella direzione sbagliata e non provano a riprendere su questi argomenti una discussione e una progettazione da troppo tempo interrotte?
Questo - da semplici cittadini - è il nostro auspicio, nella speranza che venga raccolto.