Nei giorni scorsi alcune testate giornalistiche hanno riportato le critiche espresse dall’APTA, neonata associazione di professionisti e tecnici atriani, in merito alla scelta del Comune di Atri di adottare strumenti di pianificazione che puntino ad un maggior rispetto del territorio.
L’intervento dell’APTA offre l’occasione per rilanciare un utile dibattito sulla gestione del territorio.
Il WWF non trova condivisibili le critiche sollevate, ritenendo, al contrario, che sia giunta l’ora di porre un freno al continuo consumo di territorio che caratterizza da anni la nostra provincia, al pari del resto d’Italia: un’irrazionale distruzione di suolo che viene “invaso” da costruzioni ed infrastrutture nate spesso in variante agli strumenti pianificatori. Dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500% e dal 1990 al 2005 siamo stati capaci di modificare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande quasi quanto il Lazio e l’Abruzzo messi insieme.
Tutto questo determina una pesante trasformazione di aree verdi con conseguente impermeabilizzazione del suolo che poi, come si è avuto modo di vedere in questi giorni, provoca gravi eventi calamitosi in caso di forti piogge.
Senza considerare che la costruzione al di fuori di centri abitati comporta la necessità per le amministrazioni comunali di creare e provvedere alla manutenzione di infrastrutture che costano moltissimo alla collettività sia in termini economici sia in termini ambientali e paesaggistici.
Ipotizzare una pianificazione a “consumo zero di territorio” è, quindi, una strada assolutamente da perseguire, in particolare in un Comune come Atri che ha mantenuto negli ultimi 40 anni una popolazione pressoché costante nonostante si sia continuato a costruire, privilegiando però la realizzazione di veri e propri quartieri dormitorio privi di aree di aggregazione (aree verdi, piazze, ecc.): un’esplosione di periferie lungo le arterie stradali a veloce scorrimento (come la strada provinciale per Silvi) a cui ha corrisposto lo spopolamento del centro storico, uno dei più belli d’Italia.
Va poi evidenziato come proprio il territorio atriano, caratterizzato dai noti fenomeni erosivi, richieda una particolare cura e attenzione nella gestione del suolo.
Secondo i dati contenuti nel Piano di Assetto Idrogeologico della Regione Abruzzo, il Comune di Atri è il quinto comune d’Abruzzo per estensione di superfici classificate a vario titolo pericolose (P1 P2 P3), è ancora il quinto per superfici classificate a pericolosità elevata ed è addirittura il primo per superfici classificate a pericolosità molto elevata (10,53 kmq pari al 12% della superficie comunale). Per quanto riguarda il rischio, il comune di Atri si piazza ai primissimi posti in Abruzzo per tutte le categorie di rischio (R1 R2 R3 R4) e la superficie classificata a vario titolo rischiosa è di 26,77 kmq pari al 29% dell’intero territorio comunale.
Del resto, una scelta di conservazione del territorio non si traduce nell’ingessamento dello stesso, anzi! Contrariamente a quanto affermato dall’APTA, la tutela non rischia di “impedire la modernizzazione del territorio, appiattendo idee e progetti”, ma anzi può essere un motore di crescita economica. Ad essere vecchia è invece proprio l’idea che lo sviluppo possa venire solo dal cemento e dall’asfalto. La vera modernizzazione di una città viene dall’inventarsi nuovi modi di sviluppo urbanistico, rispettoso dell’ambiente che ci circonda e delle nostre tradizioni.
La strada da percorrere, per il WWF, è quella di recuperare gli stabili abbandonati, riqualificare le aree dismesse, riportare la vita nei centri storici impedendo il proliferare di centri commerciali che allontanano i cittadini dalle strade e dalle piazze cittadine per farli rinchiudere in veri e propri non-luoghi finalizzati solo ad incentivare l’acquisto ed il consumo di oggetti il più della volte inutili.
Bene ha fatto, quindi, l’Amministrazione Comunale di Atri a scegliere la strada del “consumo zero di territorio” ed il WWF auspica che questo possa presto tradursi in scelte concrete, così come sta accadendo in tanti altri comuni italiani.
L’intervento dell’APTA offre l’occasione per rilanciare un utile dibattito sulla gestione del territorio.
Il WWF non trova condivisibili le critiche sollevate, ritenendo, al contrario, che sia giunta l’ora di porre un freno al continuo consumo di territorio che caratterizza da anni la nostra provincia, al pari del resto d’Italia: un’irrazionale distruzione di suolo che viene “invaso” da costruzioni ed infrastrutture nate spesso in variante agli strumenti pianificatori. Dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500% e dal 1990 al 2005 siamo stati capaci di modificare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande quasi quanto il Lazio e l’Abruzzo messi insieme.
Tutto questo determina una pesante trasformazione di aree verdi con conseguente impermeabilizzazione del suolo che poi, come si è avuto modo di vedere in questi giorni, provoca gravi eventi calamitosi in caso di forti piogge.
Senza considerare che la costruzione al di fuori di centri abitati comporta la necessità per le amministrazioni comunali di creare e provvedere alla manutenzione di infrastrutture che costano moltissimo alla collettività sia in termini economici sia in termini ambientali e paesaggistici.
Ipotizzare una pianificazione a “consumo zero di territorio” è, quindi, una strada assolutamente da perseguire, in particolare in un Comune come Atri che ha mantenuto negli ultimi 40 anni una popolazione pressoché costante nonostante si sia continuato a costruire, privilegiando però la realizzazione di veri e propri quartieri dormitorio privi di aree di aggregazione (aree verdi, piazze, ecc.): un’esplosione di periferie lungo le arterie stradali a veloce scorrimento (come la strada provinciale per Silvi) a cui ha corrisposto lo spopolamento del centro storico, uno dei più belli d’Italia.
Va poi evidenziato come proprio il territorio atriano, caratterizzato dai noti fenomeni erosivi, richieda una particolare cura e attenzione nella gestione del suolo.
Secondo i dati contenuti nel Piano di Assetto Idrogeologico della Regione Abruzzo, il Comune di Atri è il quinto comune d’Abruzzo per estensione di superfici classificate a vario titolo pericolose (P1 P2 P3), è ancora il quinto per superfici classificate a pericolosità elevata ed è addirittura il primo per superfici classificate a pericolosità molto elevata (10,53 kmq pari al 12% della superficie comunale). Per quanto riguarda il rischio, il comune di Atri si piazza ai primissimi posti in Abruzzo per tutte le categorie di rischio (R1 R2 R3 R4) e la superficie classificata a vario titolo rischiosa è di 26,77 kmq pari al 29% dell’intero territorio comunale.
Del resto, una scelta di conservazione del territorio non si traduce nell’ingessamento dello stesso, anzi! Contrariamente a quanto affermato dall’APTA, la tutela non rischia di “impedire la modernizzazione del territorio, appiattendo idee e progetti”, ma anzi può essere un motore di crescita economica. Ad essere vecchia è invece proprio l’idea che lo sviluppo possa venire solo dal cemento e dall’asfalto. La vera modernizzazione di una città viene dall’inventarsi nuovi modi di sviluppo urbanistico, rispettoso dell’ambiente che ci circonda e delle nostre tradizioni.
La strada da percorrere, per il WWF, è quella di recuperare gli stabili abbandonati, riqualificare le aree dismesse, riportare la vita nei centri storici impedendo il proliferare di centri commerciali che allontanano i cittadini dalle strade e dalle piazze cittadine per farli rinchiudere in veri e propri non-luoghi finalizzati solo ad incentivare l’acquisto ed il consumo di oggetti il più della volte inutili.
Bene ha fatto, quindi, l’Amministrazione Comunale di Atri a scegliere la strada del “consumo zero di territorio” ed il WWF auspica che questo possa presto tradursi in scelte concrete, così come sta accadendo in tanti altri comuni italiani.