In due giorni la Corte Costituzionale ha preso due importanti decisioni su energia nucleare e privatizzazione dell’acqua.
La Corte ha prima bocciato, con la sentenza n. 331/2010, le leggi regionali con cui Puglia, Basilicata e Campania avevano vietato l’installazione sul proprio territorio di depositi di materiali e rifiuti radioattivi, impianti di produzione, fabbricazione, stoccaggio di combustibile per l’energia nucleare.
Le norme regionali, infatti, secondo la Consulta avrebbero invaso la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema per quanto riguarda il settore dell’energia nucleare e dei rifiuti radioattivi. La Corte ha riconosciuto che per localizzare gli impianti ed i depositi nucleari sarà necessaria l’intesa tra lo Stato e la Regione interessata, ma la disciplina di queste forme di collaborazione e dell’intesa stessa spetta al legislatore titolare della competenza legislativa in materia, vale a dire il legislatore statale.
Nel luglio 2010, del resto, la Corte Costituzionale aveva già rigettato i ricorsi di 10 Regioni (Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata, Lazio, Calabria, Marche, Emilia Romagna e Molise) che avevano impugnato la Legge delega 99 del 2009 con cui il Governo aveva fissato i principi generali per il ritorno del nucleare in Italia.
Le scelte dal legislatore statale possono sempre essere sottoposte al vaglio di costituzionalità che spetta alla Corte Costituzionale se ritenute non rispettose dell’autonomia regionale, ma le Regioni non possono utilizzare la potestà legislativa per rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato.
Le Regioni, quindi, potranno impugnare davanti alla Consulta il decreto delegato n. 31/2010 in cui si indicano le aree che potranno essere scelte dagli operatori per la costruzione delle prossime centrali nucleari, ma non possono preventivamente vietare con legge regionale l'installazione degli impianti sul loro territorio.
Ieri, invece, è stata pubblicata la sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha rigettato, dichiarandoli infondati o inammissibili, i ricorsi presentati dalle Regioni Puglia, Liguria, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana e Marche riguardanti diverse norme del decreto Ronchi sui servizi pubblici locali, in particolare sulla privatizzazione dei servizi idrici.
La Consulta ha escluso che sia stata lesa la competenza regionale residuale visto che “le regole che concernono l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ivi compreso il servizio idrico, ineriscono essenzialmente alla materia della tutela della concorrenza, di competenza esclusiva statale”.
La Corte ha prima bocciato, con la sentenza n. 331/2010, le leggi regionali con cui Puglia, Basilicata e Campania avevano vietato l’installazione sul proprio territorio di depositi di materiali e rifiuti radioattivi, impianti di produzione, fabbricazione, stoccaggio di combustibile per l’energia nucleare.
Le norme regionali, infatti, secondo la Consulta avrebbero invaso la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema per quanto riguarda il settore dell’energia nucleare e dei rifiuti radioattivi. La Corte ha riconosciuto che per localizzare gli impianti ed i depositi nucleari sarà necessaria l’intesa tra lo Stato e la Regione interessata, ma la disciplina di queste forme di collaborazione e dell’intesa stessa spetta al legislatore titolare della competenza legislativa in materia, vale a dire il legislatore statale.
Nel luglio 2010, del resto, la Corte Costituzionale aveva già rigettato i ricorsi di 10 Regioni (Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata, Lazio, Calabria, Marche, Emilia Romagna e Molise) che avevano impugnato la Legge delega 99 del 2009 con cui il Governo aveva fissato i principi generali per il ritorno del nucleare in Italia.
Le scelte dal legislatore statale possono sempre essere sottoposte al vaglio di costituzionalità che spetta alla Corte Costituzionale se ritenute non rispettose dell’autonomia regionale, ma le Regioni non possono utilizzare la potestà legislativa per rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato.
Le Regioni, quindi, potranno impugnare davanti alla Consulta il decreto delegato n. 31/2010 in cui si indicano le aree che potranno essere scelte dagli operatori per la costruzione delle prossime centrali nucleari, ma non possono preventivamente vietare con legge regionale l'installazione degli impianti sul loro territorio.
Ieri, invece, è stata pubblicata la sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha rigettato, dichiarandoli infondati o inammissibili, i ricorsi presentati dalle Regioni Puglia, Liguria, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana e Marche riguardanti diverse norme del decreto Ronchi sui servizi pubblici locali, in particolare sulla privatizzazione dei servizi idrici.
La Consulta ha escluso che sia stata lesa la competenza regionale residuale visto che “le regole che concernono l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, ivi compreso il servizio idrico, ineriscono essenzialmente alla materia della tutela della concorrenza, di competenza esclusiva statale”.
Il comunicato di ieri del Comitato promotore referendum Acqua pubblica
La Consulta boccia i ricorsi delle Regioni al decreto Ronchi. Avanti sui referendum e su un immediato provvedimento di moratoria
Oggi pomeriggio la Corte Costituzionale ha bocciato i ricorsi che alcune regioni avevano opposto al Decreto Ronchi. La privatizzazione dei servizi idrici andrà avanti a tappe forzate. A questo punto i tre referendum per l'acqua pubblica previsti per la prossima primavera sono l'unica strada per salvare questo bene comune dalla speculazione e dalle logiche di mercato.Il Comitato Promotore dei referendum ribadisce la necessità di approvare un immediato provvedimento di moratoria sugli affidamenti dei servizi idrici previsti dal Decreto Ronchi perché il voto referendario sia uno strumento di reale partecipazione democratica.