29.9.16

Furto di natura Made in Italy



Data la sua importanza per i migratori l’Italia è un paese-trappola per 8 milioni di uccelli, ogni anno bersaglio dei bracconieri: aquile, cicogne, falchi e specie rarissime come l’ibis eremita. Chi spara a specie protette “rischia” meno di una multa per eccesso di velocità. Nuovo Dossier WWF con la Mappa delle 27 aree calde dell’illegalità, le storie e le azioni sul territorio per combattere il fenomeno.
Per la fauna selvatica, l’Italia, continua a essere “terra di nessuno” e il bracconaggio, un termine ancora non codificato da leggi e norme, colpisce 8 milioni di uccelli ogni anno: tra questi ci sono aquile, cicogne, falchi, e specie rarissime, come l’ibis eremita, alle quali l’Europa dedica progetti di conservazione. Fucili, archetti, reti, tagliole, roccoli e persino fumi di zolfo per stanare gli animali: gli attrezzi del bracconiere sono diversi, ma il furto di natura è sempre lo stesso.
L’Italia è un ponte ‘naturale’ tra Europa e Africa per importanti rotte migratorie degli uccelli, ma anche un paese ‘trappola’, con 27 aree, comprese quelle marine, ad alto ‘tasso’ di bracconaggio.
I dati provengono dal Dossier WWF “#FurtodiNatura: storie di bracconaggio Made in Italy” presentato oggi in vista della Giornata Oasi prevista per domenica 2 ottobre in cui apriranno gratuitamente alcune aree protette dal WWF, luoghi speciali difesi da bracconaggio, speculazione e degrado.
Leggendo la Mappa delle “aree calde” stilata dal WWF emerge anche una “regionalità” del fenomeno che non risparmia neppure le specie marine.
Nelle Valli bresciane si catturano i passeriformi con trappole e roccoli, nelle isole di Ischia e Procida si aspetta il periodo di migrazione per sparare a milioni di piccoli uccelli, nelle isole Pontine si spara ai delfini, lungo l’Appennino tosco-emiliano i fucili sono contro lupi e uccelli rapaci, catturati o uccisi anche da trappole o bocconi avvelenati, lo stesso accade nel Sulcis, in Sardegna, ai danni dei cervi e passeriformi; nello Stretto di Messina, attraversato ogni anno da 30/45mila uccelli migratori, non è stata ancora debellata completamente l’uccisione illegale di rapaci, cicogne, gru; lungo le coste sarde e nel Canale di Sicilia si pesca illegalmente il pesce spada. Nella sola provincia di Brescia, sorvegliata da anni da uno dei 50 nuclei di Guardie Volontarie WWF, tra il 1996 e il 2015 sono stati denunciati 1.152 bracconieri, sequestrati 800 fucili, 1.498 cartucce, 4 candelotti di dinamite, 389 richiami acustici e 3 smartphone usati per attirare gli uccelli con richiami artificiali. In circa 20 anni di sorveglianza sono stati elevati 888 verbali amministrativi per un ammontare di 233.300 euro in sanzioni.
Esiste anche un legame tra bracconaggio e criminalità organizzata, come nell’area del casertano in cui sono stati per molti anni affittati anche a malavitosi i bunker interrati utilizzati per gli appostamenti alla fauna; molti bracconieri inoltre utilizzano spesso i “servizi” della malavita, comprando armi modificate o con matricole cancellate, oppure sfruttano i canali di vendita illegali per smerciare gli animali. A Ballarò a Palermo e a Sant’Erasmo a Napoli il fatturato del mercato nero di animali si aggira intorno ai 250.000 euro l’anno.
I bracconieri insomma rapinano e saccheggiano un bene comune che appartiene ai cittadini italiani ed europei, un patrimonio cruciale anche per il nostro benessere: uccelli, istrici, lupi e tassi forniscono preziosi servizi, regolano gli equilibri ecologici, liberano le campagne da insetti e parassiti e alimentano un turismo naturalistico importante per l’economia locale.
I reati di bracconaggio sono molto difficili da quantificare e non esiste una “banca dati”: secondo le cifre fornite da alcune forze di polizia e dalle associazioni risulta che tra il 2014 e il 2015 il bracconaggio sia aumentato del 40,7% (su 706 casi analizzati), con il 67% in più a danno di uccelli e il 23% di mammiferi. In aumento anche l’uso di trappole e veleni (+ 18%).
Purtroppo non è mai diminuito l’accanimento contro le specie protette, il 31% dei casi, un dato preoccupante perché si tratta di specie importanti per gli equilibri naturali, come orsi bruni, lupi, varie specie di gufi, aquile reali, falchi, cicogne, rapaci notturni.
Il bracconaggio elimina ogni anno circa il 30% della popolazione nidificante di nibbio reale, un rapace inconfondibile, con 50-150 individui abbattuti. L’impatto di questo crimine contro la natura in tutto il bacino mediterraneo è stimato da Birdlife nell’ordine di 13/37 milioni di uccelli selvatici uccisi illegalmente ogni anno, una cifra sottostimata perché non comprende Turchia e Spagna.
Purtroppo ad una carenza di vigilanza sul territorio si accompagna la debolezza delle sanzioni, ancora troppo esigue per chi uccide una specie protetta come un orso bruno o un’aquila reale. Le multe “sulla carta” esistono: secondo la legge sulla caccia (Legge n. 157/1992), paradossalmente l’unica che tutela la fauna, il caso più grave (uccisione di un orso bruno, stambecco, camoscio appenninico e muflone sardo) comporta l’arresto da 3 mesi a 1 anno e l’ammenda da 1032 a 6197 euro; per le altre specie l’arresto va da 2 a 8 mesi e la multa fino ad un massimo di solo 2065 euro.
Ma il WWF sottolinea che chi uccide un esemplare rischia spesso una semplice contravvenzione e raramente finisce in carcere. Nel Dossier vengono raccontate anche sei storie emblematiche, come la cattura di migliaia di tordi con i lacci nella Sardegna meridionale o la recrudescenza dell’illegalità ai danni del lupo in Toscana, fino alla pesca illegale nel Delta del Po praticata principalmente da bande provenienti dai Paesi dell’Est, un fenomeno che in questi anni ha fatto crollare del 30% la fauna ittica in numerosi corsi d’acqua analizzati nella provincia di Ferrara.
Tra le richieste del WWF, dopo la recente riforma del Codice Penale che ha introdotto il Delitto contro l’ambiente, c’è infatti l’inasprimento delle sanzioni penali a tutela della fauna selvatica. Il WWF ha elaborato una proposta di legge proponendo il “Delitto di uccisione di specie protetta”, con pene sia detentive che pecuniarie più severe e adeguate alla gravità.
 
Qui trovi il nuovo Dossier WWF sul bracconaggio:  http://awsassets.wwfit.panda.org/downloads/furtodinatura_2016_28_09_def.pdf
 
L’AREA ‘GRIGIA’ TRA CACCIA E BRACCONAGGIO
In un territorio già provato da cementificazione, perdita di habitat naturali, inquinamento e cambiamenti climatici, l’attività venatoria (compresa quella legale) rappresenta l’ennesima gravissima aggressione alla fauna selvatica. Il territorio ‘aperto’ alle doppiette è molto ampio, 75/80% di quello nazionale: i cacciatori possono entrare anche nei terreni privati senza alcun permesso del proprietario. Quasi l’80% degli illeciti viene commesso durante la stagione venatoria, malgrado questa duri solo 4 mesi. La ‘malacaccia’ si esprime in una varietà infinita di pratiche: abbattimento di specie protette, caccia in aree protette o in periodi non consentiti, con trappole e richiami o con tecniche vietate. I reati a danno della fauna selvatica sono compiuti per il 78% dai cacciatori, mentre il 19% dei casi si tratta di bracconieri ‘tout court, ovvero, privi di licenze.
Nel Dossier WWF il decalogo delle pratiche più frequenti vanno dalla cattura di piccoli uccelli cantori con gli archetti al veleno all’uccisione degli istrici a colpi di bastone o come nel caso della ‘jacca’ una pratica in uso in Puglia in cui i bracconieri, appostati tra gli alberi, in una sola notte uccidono a palettate centinaia di quaglie e altri piccoli uccelli dopo averli abbagliati. Questa pratica è stata per fortuna quasi debellata in alcune aree grazie a un controllo costante delle Guardie WWF.
Una novità positiva è la recente modifica della Legge sulla caccia che obbliga i cacciatori a segnare gli animali appena abbattuti, un sistema che consente di conoscere la vera consistenza del prelievo venatorio.
 
COLPITO ANCHE IL ‘VALORE NATURA’
Il bracconaggio rappresenta un danno non solo per l’ambiente, ma anche per le nostre tasche se si valuta l’indotto di alcuni settori che l’economia ‘verde’ produce grazie alla presenza di animali carismatici. Ad esempio, negli Stati Uniti il giro di affari intorno a viaggi e attrezzature per il bird-watching è di 41 miliardi di dollari, in British Columbia la spesa pro-capite per osservare gli orsi è di 1.120 dollari. Se si stima che in Italia i soli appassionati di bird-watching sono decine di migliaia si può dedurre l’enorme danno che può produrre l’abbattimento di animali come cicogne o fenicotteri o di migliaia di rapaci.
La classe più colpita dal bracconaggio è quella degli uccelli e il danno si ripercuote anche sulla nostra salute: queste specie mangiano ad esempio il 98% di lepidotteri e fino al 40% di altre specie di insetti nelle foreste orientali americane e le stesse funzioni le svolgono gli uccelli insettivori nelle foreste europee, un ‘servizio della natura’ valutato in 5000 dollari americani all’anno per miglio quadro di foresta.
 
BRACCONAGGIO DA ESPORTAZIONE
Nel turismo venatorio gli italiani purtroppo sono assoluti protagonisti: esportiamo il malcostume venatorio grazie ad agenzie specializzate e labili ai sistemi di controllo. Un esercito di circa 50.000 cacciatori in trasferta almeno una volta l’anno abbattono migliaia di quaglie, beccacce, allodole, capinere, tordi, fringuelli, tortore soprattutto nei paesi dell’est: Serbia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Montenegro, Albania, Bosnia Herzegovina, Macedonia. In Albania addirittura il governo è dovuto ricorrere nel 2014 a una moratoria sulla caccia proprio come conseguenza dei massacri da parte dei cacciatori italiani. Anche la Romania è una delle mete preferite e i sequestri alla dogana svelano spesso veri e propri carichi di selvaggina con decine di migliaia di piccoli uccelli morti: qui la legge finalmente ha stabilito nuove quote e sono stati proibiti mezzi illegali come i richiami acustici. Lo scorso luglio una svolta alla lotta al bracconaggio è stata data con una risoluzione votata dai Paesi aderenti alla Convenzione di Bonn sulla fauna selvatica: tolleranza zero contro il bracconaggio.
 
LA CURIOSITÀ: LA VETRINA DI FACEBOOK
La più grande vetrina planetaria delle abitudini umane ha permesso di scoprire dove scompaiono gli uccelli migratori che attraversano il Mar Mediterraneo. I cacciatori malati di esibizionismo hanno iniziato a postare sulla loro pagina personale o in uno dei tanti gruppi "venatori", il frutto delle carneficine e gli ambientalisti, voyeurs a fin di bene, hanno raccolto le prove inconfutabili del bracconaggio (https://www.facebook.com/stophuntinglebanon).
La smania di protagonismo, una sorta di follia collettiva che ha contagiato i cacciatori del bacino del Mediterraneo, ha consentito alle Guardie WWF di comprendere meglio il fenomeno del bracconaggio. Le immagini che arrivano dal Libano, dalla Siria, dall’Egitto e più recentemente dall’Arabia Saudita non lasciano dubbi. Studi più recenti parlano di 26 milioni di uccelli uccisi illegalmente ogni anno nel Mediterraneo, cifra probabilmente prudenziale. Le foto parlano da sé, alcune specie in forte calo sono soggette a pressione venatoria impressionante. Non se ne sapeva nulla prima: chi poteva immaginare che un solo cacciatore libanese potesse uccidere 100 Re di Quaglie in una mattinata? O decine di aquile anatraie minori, o rigogli e ghiandaie marine a mazzi? Le prove le hanno fornite gli stessi killer.