L’ennesimo orso ritrovato in località “Violata” di Villa Scontrone, frazione del comune di Scontrone (AQ) al limite del Parco Nazionale d’Abruzzo è la conferma di come il nostro territorio sia assai scarsamente controllato permettendo così a chi vuole distruggere il più grande mammifero europeo di agire indisturbato.
L’episodio è ancora più grave per le modalità in cui è avvenuto: chi ha ucciso l’orso ha poi avuto il tempo di trasportarlo, scavare una fossa e coprirlo di calce e terra per non farlo ritrovare. Una modalità che preoccupa perché fa pensare che potrebbero esserci altri orsi uccisi e non rinvenuti.
Del resto, sono ormai frequenti i casi di animali protetti (lupi, cervi, caprioli) uccisi anche all’interno dei parchi, mentre il bracconaggio sui cinghiali è molto esteso e troppo spesso tollerato. E diffusissimi sono i bocconi avvelenati ed i lacci lasciati sui campi al fine di colpire gli animali che possono arrecare danni alle colture ed al bestiame allevato.
Le indagini che vengono avviate dopo queste uccisioni il più delle volte non portano a processi e men che meno a condanne. Basti pensare all’uccisione dell’Orso Bernardo e degli altri due orsi nel settembre del 2007, ad oggi rimasta impunita, mentre nelle stesse zone dove furono rivenuti i tre orsi morti continuano ad essere uccisi con il veleno esemplari di specie protette.
Se non si vuole far estinguere l’Orso Marsicano, si devono mettere in campo azioni più incisive sia nella prevenzione che nella repressione di questi crimini.
Il PATOM, il Piano d’azione per la tutela dell’Orso marsicano che vede coinvolti tutti gli enti competenti per la conservazione di questa specie, sembra non essere riuscito a tradurre in azioni efficaci gli studi ed i documenti che ha elaborato.
È necessario un suo rilancio nel segno dell’efficacia. È necessario che Ministero dell’Ambiente, Regione Abruzzo, Provincia di L’Aquila, Parco Nazionale d’Abruzzo e Corpo Forestale dello Stato, vale a dire le istituzioni che hanno le maggiori responsabilità ed i maggiori poteri, facciano di più e meglio, cominciando a chiudere alla caccia i territori dove avvengono casi di bracconaggio.
L’episodio è ancora più grave per le modalità in cui è avvenuto: chi ha ucciso l’orso ha poi avuto il tempo di trasportarlo, scavare una fossa e coprirlo di calce e terra per non farlo ritrovare. Una modalità che preoccupa perché fa pensare che potrebbero esserci altri orsi uccisi e non rinvenuti.
Del resto, sono ormai frequenti i casi di animali protetti (lupi, cervi, caprioli) uccisi anche all’interno dei parchi, mentre il bracconaggio sui cinghiali è molto esteso e troppo spesso tollerato. E diffusissimi sono i bocconi avvelenati ed i lacci lasciati sui campi al fine di colpire gli animali che possono arrecare danni alle colture ed al bestiame allevato.
Le indagini che vengono avviate dopo queste uccisioni il più delle volte non portano a processi e men che meno a condanne. Basti pensare all’uccisione dell’Orso Bernardo e degli altri due orsi nel settembre del 2007, ad oggi rimasta impunita, mentre nelle stesse zone dove furono rivenuti i tre orsi morti continuano ad essere uccisi con il veleno esemplari di specie protette.
Se non si vuole far estinguere l’Orso Marsicano, si devono mettere in campo azioni più incisive sia nella prevenzione che nella repressione di questi crimini.
Il PATOM, il Piano d’azione per la tutela dell’Orso marsicano che vede coinvolti tutti gli enti competenti per la conservazione di questa specie, sembra non essere riuscito a tradurre in azioni efficaci gli studi ed i documenti che ha elaborato.
È necessario un suo rilancio nel segno dell’efficacia. È necessario che Ministero dell’Ambiente, Regione Abruzzo, Provincia di L’Aquila, Parco Nazionale d’Abruzzo e Corpo Forestale dello Stato, vale a dire le istituzioni che hanno le maggiori responsabilità ed i maggiori poteri, facciano di più e meglio, cominciando a chiudere alla caccia i territori dove avvengono casi di bracconaggio.