8.11.11

Abruzzo a rischio!

Gran parte dell'Abruzzo è a rischio idrogeologico, ma le risorse vanno per le strade e le grandi opere di cemento. Gran parte degli argini sono di fatto abbandonati e mancano addirittura dati attendibili sulle portate dei fiumi. Per quanto riguarda le frane in Abruzzo quasi 17.000 siti sono a rischio con oltre 1.500 kmq di superficie con dissesti.

I punti più critici per i fiumi, secondo il Piano Stralcio per la Difesa dalle Alluvioni della Regione, sono Popoli sull’Aterno-Pescara, Pineto sul Vomano e Castel di Sangro sul Sangro. Inoltre molti comuni costieri del teramano sono a forte rischio per bacini minori, come il Cerrano e il Calvano, che in pochi minuti possono portare a valle grandi quantità di fango.

Circa 300 ponti, secondo uno studio della Regione del 2004, sono in gravissimo stato di conservazione, interessati da frane e necessitano di interventi di manutenzione.

In Abruzzo si continua a progettare ed a costruire in aree a fortissimo rischio di esondazione spendendo decine di milioni di euro di fondi pubblici. Basti pensare al progetto ANAS per la variante Sud di L’Aquila, del costo di circa 30 milioni di euro, localizzata in gran parte nell’area di esondazione del fiume Aterno.

Sul Saline, invece di rifare gli argini, in larga parte compromessi, si spendono oltre 15 milioni di euro per tre nuovi ponti e strade lungofiume in parte a rischio di esondazione.

E proprio in questi giorni è in corso l’iter per la realizzazione di nuovi centri commerciali a fianco al Megalò a Chieti scalo in parte in aree a rischio sul Fiume Pescara.

Per prevenire danni e lutti basterebbe fare poche cose di buon senso.

Non costruire in aree a rischio frana o a rischio esondazione.

Dare risorse all’Autorità di bacino per identificare con modelli matematici le aree a rischio per tutti i fiumi (e non solo per i principali) e per aggiornare i dati su portate e stato degli argini.

Conservare le poche aree rimaste libere lungo i corsi d’acqua e destinarle a servitù idraulica per far espandere i fiumi in caso di piena.

Intervenire sugli argini per spostarli il più possibile lontano dal letto ordinario del fiume: oggi gran parte dei fiumi della regione sono stretti tra argini con sezioni del tutto insufficienti. Si insiste nell’alzare gli argini per stare al sicuro e magari costruire, come si sta facendo a Marina di Città Sant’Angelo, dimenticando che quasi tutte le tragedie italiane i problemi sono derivati dal cedimento degli argini. E quando cade un argine l’onda arriva nelle case in pochi minuti. Le ragioni per cui gli argini cedono per mancanza di manutenzione (devono essere liberi da vegetazione e percorribili per ispezioni), perché sono realizzati troppo a ridosso dell’alveo e non reggono l’erosione delle piene.

Evitare la “ripulitura dei fiumi”. Togliere la vegetazione non fa altro che aumentare la velocità delle acque. I fiumi diventano “proiettili” sparati verso valle ed aumenta la capacità erosiva sugli argini.

Si tratta di concetti di base che si trovano in tutti i testi universitari, ma che ancora faticano a trovare ascolto negli amministratori e in molti tecnici che operano sui fiumi abruzzesi.

Le sistemazioni di frane e fiumi dovrebbero essere fatte con interventi di ingegneria naturalistica che assicurano il territorio mantenendo la sua qualità ambientale.

E, infine, vanno formati i cittadini: dobbiamo scegliere le nostre abitazioni sulla base del grado di rischio di una determinata area e non solo per l’estetica dell'edificio. Inoltre devono programmarsi esercitazioni, almeno nei comuni a maggiore rischio, perché il tipo di comportamento che una persona tiene in momenti di emergenza è uno dei fattori chiave per ridurre almeno il numero di vittime.

Il WWF richiama, quindi, gli amministratori a scegliere tra le vere priorità del paese quando si tratta di spendere i pochi fondi a disposizione.

In Abruzzo si continua a scommettere su grandi opere da veri megalomani, come la strada pedemontana Abruzzo-Marche che per il solo tratto da Capsano (frazione di Penna Sant’Andrea) a Bisenti prevede la spesa di 180 milioni di euro di fondi pubblici (e 173 milioni di euro per il tratto Guardiagrele-Val di Sangro)!

La stessa “sbornia da cemento” contraddistingue il Piano Regionale dei Trasporti in gestazione presso la Regione, tutto fatto di megatunnel sotto le montagne, pedemontane, circonvallazioni e complanari.

Addirittura è notizia di oggi che alcuni amministratori vogliono farsi finanziare con decine di milioni di euro il cosiddetto “periplo del Gran Sasso” con opere faraoniche a base di cemento come la strada da Castelli a Rigopiano, con gravissimi problemi idrogeologici.

E tutto mentre alcuni sindaci segnalano l’abbandono di importanti tratti di argini fluviali con progetti di manutenzione fermi per mancanza di denaro.

Un buon padre di famiglia saprebbe cosa finanziare. I nostri amministratori?