28.9.18

Acqua del Gran Sasso: avviso di conclusione delle indagini



L’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso, promosso dalle associazioni WWF, Legambiente, Mountain Wilderness, ARCI, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie Ambientali d’Italia, FIAB, CAI, Italia Nostra e FAI, apprende con soddisfazione della conclusione delle indagini da parte della procura di Teramo sull'incidente del 8/9 maggio 2017.
Le indagini sembrano aver riguardato tutti gli aspetti e possono rappresentare un passo avanti importante verso l'accertamento della verità.
Ovviamente si dovranno approfondire gli atti prodotti dalla Procura, ma alcune delle Associazioni che costituiscono l'Osservatorio sono intenzionate a costituirsi parte civile nel procedimento. In particolare le associazioni ambientaliste, che fin dai primi anni 2000 seguono la vicenda della sicurezza dell'acquifero del Gran Sasso, sono intenzionate ad intervenire nel procedimento quali portatori di interesse per la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini. Ma anche le associazioni dei consumatori vorranno far valere le loro ragioni, atteso che questa vicenda ha rappresentato un danno per tutta la cittadinanza.
L'Osservatorio ribadisce che l'obiettivo resta la messa in sicurezza definitiva dell'acquifero che rifornisce centinaia di migliaia di persone. Le indagini della Procura serviranno a chiarire meglio la situazione e a meglio definire gli interventi da mettere in campo.

Rifiuti vicino al torrente Vibrata: segnalazione del WWF Teramo

 
A seguito di un sopralluogo effettuato dall’Associazione nei giorni scorsi, il WWF Teramo ha inviato una segnalazione all’Amministrazione Comunale di Alba Adriatica sull’abbandono di rifiuti nei pressi del torrente Vibrata in contrada/viale Vibrata nel tratto di strada che dal bivio di Corropoli sale verso Tortoreto Alta. Il Comune ha tempestivamente risposto comunicando che si sarebbe attivato per la rimozione.
L’accumulo di rifiuti di vario genere è presente da tempo e peraltro l’area è da sempre interessata da questo tipo di microdiscariche totalmente abusive. Negli anni passati il WWF e altri organismi hanno anche organizzato giornate di pulizia nell’area.
Questo tipo di comportamento è altamente incivile e rappresenta, oltre che un notevole danno ambientale, anche un danno economico per la collettività perché il Comune è poi tenuto ad intervenire a proprie spese con un’opera di bonifica.
L’abbandono dei rifiuti lungo i corsi d’acqua della nostra provincia è purtroppo molto diffuso e rappresenta un vero e proprio campanello d’allarme. In altre regioni d’Italia questi fenomeni sono legati alla malavita organizzata e il passo dall’abbandono di rifiuti urbani ai più pericolosi rifiuti industriale è spesso molto breve.
Il WWF auspica un aumento dei controlli sul territorio sia attraverso un potenziamento delle verifiche da parte delle Forze dell’Ordine, sia attraverso la diffusione di sistemi di videosorveglianza e la chiusura delle strade di accesso ai lungofiumi.

26.9.18

Danni da cinghiale: la caccia ne provoca l’aumento e non la diminuzione

 
Negli ultimi decenni la popolazione di cinghiali in tutta Europa, nonostante la forte pressione venatoria e a dispetto delle tante metodiche di caccia messe in atto, è cresciuta in maniera addirittura esponenziale. Lo dimostra, dati alla mano, uno studio pubblicato già da qualche anno dalla rivista Pet Management Science, firmato da diversi autori provenienti da quasi tutta Europa (G. Massei et al., “Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe”. Pet Management Science, volume 71, aprile 2015, pp. 492-500).
I ricercatori hanno evidenziato come la mortalità naturale (pressioni climatiche, malattie e predazione, soprattutto da parte del lupo), incidendo in gran parte sulle classi giovanili, mantiene una struttura della popolazione più stabile e determina una minore dispersione di individui. L’attività venatoria, al contrario, colpisce soprattutto gli adulti e innesca risposte compensative tra i cinghiali e li diffonde maggiormente nel territorio. In altre parole la destrutturazione della popolazione che si ha attraverso l’azione dei cacciatori (anche di quelli, aggiungiamo noi, che hanno acquisito il ruolo dei cosiddetti “selecontrollori”) comporta l’aumento del tasso riproduttivo, la riproduzione precoce delle femmine e un maggior tasso di dispersione tra i giovani, che sono poi quelli che più creano danni alle produzioni agricole, come ben sa chi affronta il problema su basi scientifiche e non basandosi sui “si dice” e su impressioni non di rado interessate.
Nello studio si sottolinea che il tasso di aumento medio della popolazione di cinghiali in Europa è stato quasi sempre superiore a 1 con picchi sino a 1,46. Vuol dire che, dai primi anni ‘80 del secolo scorso a oggi, l’attività venatoria non ha in alcun modo contenuto la crescita numerica delle popolazioni. Senza mai dimenticare che le immissioni per la caccia, legali e non, hanno al contrario contribuito ad aumentare enormemente il numero dei cinghiali. Già nel 1993 un documento tecnico dell’allora Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (oggi confluito nell’ISPRA) sottolineava come l’attività venatoria "è responsabile di ripopolamenti più o meno massicci e di introduzioni con individui provenienti da regioni geograficamente molto distanti".
"Il tentativo – sottolinea il responsabile regionale del WWF Luciano Di Tizio - di limitare i danni alle coltivazioni aumentando la pressione venatoria, che continua a essere in Abruzzo e in altre regioni italiane la scelta privilegiata di una politica miope e che prende le proprie decisioni sulla base di impressioni e non su fondamenti scientifici, è dunque profondamente sbagliato. Basterebbe confrontare l’evoluzione dei danni negli anni per rendersene conto: sono tendenzialmente stabili là dove la caccia è poco o per nulla presente, tendono ad aumentare in presenza di una pressione venatoria esagerata".
"Sarebbe ora di finirla una volta per tutte – aggiunge il vice presidente del WWF Italia Dante Caserta - con soluzioni semplicistiche che hanno un puro e semplice effetto propagandistico e che servono al più a raccogliere qualche consenso (e forse qualche voto) nel mondo venatorio. La strategia che attribuisce ai cacciatori il compito di contrastare un problema che loro stessi hanno determinato è perdente, inutile e spesso dannosa, ad esempio quando si autorizza la braccata con i cani, la peggiore soluzione in assoluto perché, oltre ad arrecare disturbo a tutta la fauna, anche quella protetta e preziosa (basterà citare l’orso marsicano), contribuisce ad aumentare il tasso di dispersione dei cinghiali e di conseguenza produce un aumento proprio di quei danni, alle coltivazioni e alla sicurezza stradale, che si vorrebbero contenere".

21.9.18

Sulle tracce dell'elmo ostrogoto


Domenica 23 settembre nuova attività alla scoperta della Riserva regionale naturale del Borsacchio.
Tutto fatto dai volontari delle Guide del Borsacchio e del WWF Teramo, senza nessun contributo da parte del Comune di Roseto degli Abruzzi che continua a bloccare l'avvio della gestione dell'unica area protetta costiera della provincia di Teramo.

14.9.18

Migliaia di lepri salve grazie al WWF!


“Abbiamo salvato dal massacro quasi centomila lepri!”: è questo il commento a caldo del coordinatore regionale delle Guardie WWF, Claudio Allegrino, alla ordinanza emessa poche ore fa dal TAR in merito al calendario venatorio regionale.
Il WWF aveva chiesto con il suo ricorso la sospensiva per impedire la caccia a settembre alle specie fagiano, quaglia e lepre. I giudici hanno sospeso la caccia alla lepre per il mese di settembre mentre per quaglia e fagiano hanno ritenuto di non esserci più esigenze cautelari: il calendario venatorio nella sua seconda versione si era infatti già parzialmente adeguato prevedendo il posticipo al 1 ottobre per queste ultime due specie nelle aree Natura 2000 (SIC e ZPS).
Il divieto di caccia alla lepre a settembre salverà potenzialmente 98.952 animali: sono stati cancellati infatti 7 giorni di attività venatoria in ciascuno dei quali ogni cacciatore (in Abruzzo secondo i dati Istat 2007 sono 14.136) avrebbe potuto ucciderne una. “Un risultato importante che si aggiunge – sottolinea il delegato Abruzzo del WWF Italia Luciano Di Tizio - agli altri già ottenuti in questi mesi grazie alle puntuali osservazioni presentate dalla nostra associazione e alle osservazioni dell’ISPRA, in parte recepite dalla Regione dopo la presentazione del ricorso del WWF redatto dall’avv. Michele Pezone. Bisogna per questo dare atto all’assessore Dino Pepe di essersi comportato da assessore alla caccia e non da assessore ai cacciatori, come taluni suoi predecessori, sforzandosi di varare un calendario almeno rispettoso delle norme di legge e del buon senso”.
L’Ente regionale ha infatti emanato pochi giorni fa alcune modifiche migliorative al calendario venatorio con le quali ha ridotto il prelievo nei tempi e nei modi di molte specie cacciabili, accogliendo le prescrizioni dell’Ufficio Valutazione Impatto Ambientale (VINCA) della Regione Abruzzo. A queste vanno aggiunte alcune richieste del WWF pure accolte nella modifica del calendario venatorio come la restrizione del periodo di caccia alla beccaccia portata al 31 dicembre.
Dichiara Dante Caserta, vicepresidente del WWF Italia: “Vincere i ricorsi al TAR Abruzzo è oramai una prassi consolidata per il WWF e questo è dovuto non solo alla tenacia della nostra Associazione nel voler far rispettare le norme e i principi di tutela della fauna selvatica ma soprattutto alla nota e ormai cronica carenza di pianificazione faunistica della Regione. Cambiano i colori politici al governo ma purtroppo nella gestione venatoria i problemi restano immutati: mancanza del Piano Faunistico Regionale, Osservatorio Faunistico Regionale mai istituito, carenza di dati e di studi scientifici in grado di dimostrare la sostenibilità del prelievo, Comitati di Gestione degli ATC che spendono solo per ripopolamenti pronta-caccia. È ora di cambiare, anche per non far spendere inutilmente soldi ai contribuenti. La fauna, lo ricordiamo sempre, è un patrimonio indisponibile dello Stato, cioè di tutti i cittadini, non un trastullo per la piccola minoranza rappresentata dai cacciatori”.
Per concludere, un appello del WWF alla politica regionale: la manifestazione dei cacciatori abruzzesi dello scorso 6 settembre avvenuta a Pescara e che ha visto la partecipazione di meno di 50 cacciatori dovrebbe indurre i nostri amministratori pubblici ad avere meno timore di un mondo venatorio ormai in crisi generazionale e disgregato nelle sue diverse componenti associative.

Sulla gestione del cinghiale, anni di errori per accontentare i cacciatori. O si cambia o la situazione continuerà a peggiorare


Ieri si è svolta in Regione Abruzzo una riunione nella quale è stata discussa la bozza di protocollo d’intesa per la gestione e il contenimento del cinghiale elaborata dalla Regione.
Purtroppo, permane la volontà di non cambiare approccio al problema: si continuano ad anteporre gli aspetti emotivi e gli interessi rappresentati dal mondo venatorio a una seria valutazione dell’efficacia e dell’efficienza di quanto fatto fino ad oggi. Si continua in altre parole a perdere tempo e a impiegare male i fondi pubblici.
L’approccio finora seguito è completamente a-scientifico visto che ci si è limitati ad allargare modalità e periodi di caccia, senza considerare minimamente l’etologia della specie, le differenze stagionali, il clima, le relazioni all’interno delle popolazioni, ecc.
Continuare a procedere senza avere dati certi, confrontabili e validati (inutilmente richiesti ormai da decenni!) con indicatori per monitorare l’efficacia degli interventi, non fa altro che produrre azioni inefficaci dal punto di vista della riduzione dei danni e deleterie dal punto di vista ecologico.
Come WWF chiediamo che si parta invece da una valutazione oggettiva dei risultati delle politiche portate avanti in questi ultimi 10 anni in base alle quali si è sostanzialmente arrivati a consentire la caccia al cinghiale in tutti i periodi dell’anno e in tutto il territorio regionale (a esclusione delle aree naturali protette).
Vorremmo conoscere: 
  1. il numero di cinghiali abbattuti durante il periodo di caccia aperta e quello dei cinghiali abbattuti con il selecontrollo; 
  2. quali verifiche sono state effettuate sulle attività di selecontrollo per verificarne l’efficacia e l’effettivo svolgimento (da segnalazioni che abbiamo ricevuto quelle che dovrebbero essere delle girate si trasformano sostanzialmente in vere e proprio braccate, deleterie, soprattutto in periodi di riproduzione, non solo per i cinghiali, ma per tutta la fauna che viene inseguita e spaventata da cani e spari); 
  3. quante volte, prima di intervenire con i fucili, si siano effettivamente impiegate misure dissuasive non cruente (che andrebbero adottate prima degli abbattimenti);
  4. i risultati delle catture portate avanti in varie parti della regione (anche all’interno di aree naturali protette), verificandone l’efficacia e l’applicabilità su altri territori.
La ricerca della soluzione del problema attraverso le medesime strategie che lo hanno determinato (in sostanza l’attività venatoria) è stata fino ad oggi del tutto fallimentare all’esterno delle aree naturali protette e lo sarebbe ancora di più al loro interno. 
È fondamentale che la Regione proceda a sganciare totalmente l’aspetto della gestione dei danni dall’attività di caccia. Dopo anni di politiche basate sugli abbattimenti si continuano registrare problemi alle colture: ci si deve quindi interrogare sulla reale efficacia di affrontare il problema attraverso lo strumento dei cacciatori che, dopo essere stati l’origine del problema con l’introduzione in Abruzzo di cinghiali a scopo venatorio, vengono ora individuati come la soluzione nonostante siano i meno interessati a risolverlo essendo i primi beneficiari di questa situazione che ha consentito loro di andare a caccia anche in periodi in cui tale attività è vietata e che assicura, in molti casi, una fonte di reddito non secondaria.
E la necessità di sganciare la gestione dei danni dall’attività venatoria è tanto più vera all’interno delle aree naturali protette, dove l’interesse primario da tutelare è la salvaguardia di specie e habitat.
Noi pensiamo che questa “sfida” possa e vada vinta, insieme, e in tal senso, con spirito collaborativo, chiediamo l'avvio di un confronto serio offrendo un nostro contributo attraverso la scheda che segue.
Chiediamo in tal senso all’Osservatorio Regionale per la biodiversità di esprimersi sulle proposte e di assumere il coordinamento della stesura di un documento tecnico di indirizzo, in particolare per quanto di competenza diretta, coinvolgendo le Aree Protette Regionali e il mondo agricolo, affinché il cinghiale si trasformi da centro di conflittualità in un primo vero punto di incontro.

LE PROPOSTE DEL WWF ALLA REGIONE
  • All'interno delle aree naturali protette sono da porre in essere e favorire attività di ripristino e restauro degli equilibri naturali. Gli obiettivi e le modalità di intervento devono essere quindi diversi da quelli usati all’esterno delle stesse.
  • Qualsiasi intervento sulle specie faunistiche (compreso il cinghiale) all’interno di aree naturali protette non può essere effettuato in assenza di un apposito Piano basato su dati certi con cognizione di numero, classi d’età e sesso dei capi da abbattere. Questo Piano dovrà:
  1. individuare e caratterizzare aree omogenee;
  2. definire densità obiettivo e indicare quanto si è lontano dall’equilibrio (numero, classi di età e sesso);
  3. attivare riqualificazione del paesaggio agro-silvo-pastorale tradizionale;
  4. prevedere mezzi di dissuasione e, in subordine, di cattura;
  5. prevedere una diversificazione cuscinetto dei sistemi di prelievo venatorio ordinario;
  6. prevedere azioni secondo criteri temporali e dimensionali omogenei rispetto a quanto fatto all’esterno delle aree naturali protette, al fine di evitare disparità di interventi per giunta mal coordinati con i periodi di caccia collettiva;
  7. in caso di mancato raggiungimento delle densità obiettivo, prevedere che il sistema risarcitorio debba essere sostenuto dai responsabili del mancato raggiungimento degli obiettivi (anche per questo deve essere messo in piedi un sistema che in base a indicatori e monitoraggi possa evidenziare le inefficienze e gli interventi inefficaci).
  • Qualsiasi Piano che riguardi la gestione del Cinghiale all’interno di aree naturali protette deve partire dall’applicazione di sistemi definiti “non cruenti”.
  • Nel caso di dimostrata inefficacia dei sistemi definiti “non cruenti” si potrà procedere a interventi di cattura basati su studi puntuali con obiettivi predefiniti, effettivamente gestiti dietro il controllo dell’area naturale protetta e affidati agli agricoltori.
  • Qualora anche la cattura dovesse risultare non efficace, va comunque escluso il selecontrollo attraverso abbattimento di capi affidato ai cacciatori. Il selecontrollo deve essere gestito, quale forma residuale e puntuale, da personale dell’area naturale protetta e da operatori dei corpi di polizia.
  • Non sono pertanto ipotizzabili interventi di “pronto intervento cinghiale” all’interno delle aree naturali protette, poiché incompatibili con le finalità stesse delle aree e con una gestione della specie, almeno che tale forma di intervento non sia limitata a eccezionali casi puntuali per motivi di incolumità e sicurezza.
  • Gli interventi di gestione del Cinghiale all’interno delle aree naturali protette, pur avendo diversi obiettivi e modalità di attuazione, devono sempre coordinarsi con i sistemi di gestione previsti nel restante territorio in relazione ai diversi istituti faunistici soggetti o meno al prelievo venatorio (attualmente questi non sono strutturati da poter essere considerati come efficaci e monitorabili o valutabili tramite indicatori di prestazione: continuare ad intervenire senza dati e in maniera scoordinata non può che aumentare il problema).
  • In assenza di dati certi su numeri, consistenza e dinamiche di prelievo-obiettivo, un sistema di filiera di trasformazione delle carni di cinghiale rischia di essere un ulteriore elemento di perturbazione. Il soggetto chiamato ad investire per la creazione della filiera, volendo giustamente ammortizzare l’investimento fatto e mettere in funzione una attività remunerativa, richiederà un apporto di cinghiali costante (obiettivo di chi investe nella filiera non è ridurre il numero di cinghiali, ma averne un flusso costante).
  • Vanno ovviamente vietati interventi di sparo da automezzi o in periodo notturno all’interno di aree naturali protette poiché potenzialmente dannosi per le altre specie animali protette presenti e pertanto incompatibili con le finalità di conservazione delle aree protette.

13.9.18

Un cappuccino all'anno per i parchi nazionali italiani!


Qual è lo stato di salute delle aree protette italiane?
Il WWF Italia, attraverso il Check-up dei Parchi Nazionali e delle Aree Marine Protette, ha scattato un’istantanea dalla quale emergono luci e ombre che è stata presentata a Roma in una conferenza stampa alla presenza del Ministro dell'Ambiente, Sergio Costa.
L’indagine, alla quale hanno partecipato tutti i 23 Parchi Nazionali attualmente operativi e 26 aree marine protette sulle 29 istituite, è stata condotta con il metodo della Valutazione e Prioritizzazione Rapida della Gestione delle Aree Protette (RAPPAM), che offre ai gestori e ai decisori politici uno strumento per raggiungere l’obiettivo di una gestione più efficiente ed efficace delle aree protette.
Dallo studio del WWF emerge che il lungo cammino cominciato con la Legge quadro sulle aree naturali protette (Legge n. 394/91) è ancora ben lontano dall’essere completato.
Le principali criticità che investono il sistema delle aree protette sono principalmente legate agli strumenti di gestione, nonché alla carenza di personale qualificato e di risorse disponibili per progetti di conservazione.
 
Dai dati raccolti emerge che urbanizzazione, turismo, incendi e cambiamenti climatici sono percepite come le principali pressioni che attualmente insistono sulla biodiversità, a cui si affiancano abusivismo edilizio e smaltimento rifiuti nei Parchi di piccole dimensioni e inquinamento idrico nei Parchi costieri.
Per il futuro, le principali minacce sono i cambiamenti climatici, seguiti da specie aliene invasive e captazioni idriche.
Per quanto riguarda gli strumenti di gestione va segnalato che solo nel 30% dei casi è stato approvato in via definitiva il Piano per il Parco e che meno del 10% si è dotato di un Regolamento, sebbene i Parchi abbiano definito in maniera sufficiente specifici obiettivi di conservazione e relative strategie.
Il contesto di legalità in cui i Parchi operano viene considerato buono, sebbene le risorse economiche e di personale per il controllo delle attività illegali siano ritenute largamente insufficienti.
A livello di biodiversità, i Parchi hanno realizzato check-list, mappe di distribuzione e attività di monitoraggio di specie e habitat prioritari (in primis lupo e aquila reale, faggete dell’Appennino e stagni mediterranei) su cui basare gli interventi di conservazione, sebbene le risorse economiche impiegate in queste attività siano ritenute insufficienti.
Infatti, sia le spese per le attività di monitoraggio che quelle per progetti di conservazione risultano entrambe inferiori al 10% del proprio budget (per la quasi totalità dei Parchi: in 9 parchi addirittura inferiori al 5%).
Nonostante gli strumenti e le competenze del personale siano ritenute adeguate, le condizioni di impiego e l’aggiornamento sono ritenuti inadeguati. Spesso mancano figure chiave come naturalista o biologo (22%), agronomo o forestale (22%) e ancor più veterinario e geologo (83%), con percentuali della pianta organica dedicate primariamente alla conservazione delle biodiversità spesso inferiori al 10%.
Inoltre 15 Parchi Nazionali su 23 attualmente operativi attendono entro la fine di quest’anno la designazione dei Presidenti (11, dei quali 10 già scaduti) e/o dei Direttori (9, dei quali 8 già scaduti).
Indicativa è la questione delle risorse che lo Stato assegna alle proprie aree protette.
Ai Parchi Nazionali terrestri, che tutelano 1,5 milioni di ettari del nostro territorio nazionale (il 5% della penisola) negli ultimi anni sono stati assegnati in media 81 milioni di euro (considerando il periodo dal 2013 al 2016, fonte Corte dei Conti), sui quali l’incidenza del costo per il personale è in media superiore al 34% (in media più di 32 milioni di euro). Un semplice calcolo evidenzia che, ogni anno, in media, l’Italia destina 1,35 euro per abitante per i Parchi Nazionali: una spesa equivalente al costo di un cappuccino.
Nonostante i suoi 7500 chilometri di coste, l’Italia sembra essere aver voltato le spalle al mare.
Le 29 AMP (inclusi 2 parchi sommersi), infatti, incidono solo su 700 chilometri di costa (pari allo 0,8% del totale) e 228 mila ettari di mare.
Va peggio per quanto riguarda le risorse se si considera che nel 2017 sono stati destinati per il funzionamento e la gestione solo 7 milioni di euro.
Rifiuti spiaggiati e plastiche in mare, turismo e traffico navale sono percepiti come le pressioni che attualmente affliggono con maggiore intensità la biodiversità delle AMP italiane, in particolare quelle di piccole dimensioni, mentre bracconaggio e pesca illegale costituiscono la pressione più diffusa come numero di AMP interessate, con trend spesso in aumento. Per il futuro, le principali minacce sono invece ritenute essere i cambiamenti climatici, seguiti da rifiuti spiaggiati e plastiche o reti fantasma in mare. Per quanto riguarda strategie e strumenti di gestione, quasi il 70% delle AMP ha un Piano di gestione approvato in via definitiva e quasi l’80% degli enti ha approvato il proprio Regolamento. Buona anche la percentuale di approvazione di piani e misure di conservazione per i Siti Natura 2000 in esse ricadenti, con percentuali più limitate per quanto riguarda le AMP gestite da Enti Parco.
Per quanto riguarda la biodiversità, le AMP riportano un buon punteggio nella realizzazione di check-list, mappe di distribuzione e attività di monitoraggio di specie e habitat prioritari (in primis cernia bruna, Pinna nobilis e tartaruga Caretta caretta; praterie di posidonia e scogliere) su cui basare gli interventi di conservazione, con valori migliori nelle AMP più grandi.
Tuttavia, le risorse economiche impiegate in queste attività sono ritenute del tutto insufficienti, nonostante circa la metà delle AMP investa oltre il 15% del proprio budget in monitoraggi e altrettanto in progetti di conservazione.
I risultati però evidenziano un mancato raggiungimento degli obiettivi di conservazione prefissati dalle AMP. I trend delle specie ed habitat prioritari delle Direttive Europee Habitat e Uccelli e sulle Liste Rosse della IUCN riportati da più del 50% delle AMP risultano uguali o peggiori alla media nazionale, ovvero all’esterno di aree protette.
Per quanto riguarda la pesca commerciale e ricreativa, l’effetto della presenza di una riserva, misurato come aumento nel tempo delle specie commerciali all’interno verso l’estero dei confini, è mediamente leggero o insufficiente e, se il livello di pesca non è in linea con gli obiettivi di conservazione, non si prendono provvedimenti per modificare la gestione della pesca.
Sebbene la sorveglianza della legalità nelle AMP non dipenda direttamente dagli enti gestori, si evidenziano giudizi fortemente negativi sulla capacità di far rispettare le leggi e, in particolare, di reprimere la pesca illegale. Il personale e le risorse economiche sono insufficienti al controllo delle attività illegali all’interno dell’AMP e l’organizzazione della sorveglianza è inadeguata a contrastare le attività illegali.
Anche i finanziamenti complessivi vengono considerati largamente insufficienti per garantire le attività di conservazione della biodiversità. Il personale delle AMP impiegato in attività di conservazione della biodiversità è ritenuto del tutto insufficiente, così come le condizioni di impiego e l’aggiornamento scientifico. A questo le AMP cercano di fare fronte grazie alla partecipazione di esperti esterni (in particolare università ed enti di ricerca), comunità locali e portatori di interesse in attività di conservazione, giudicata largamente positiva. I conflitti con le comunità locali sono considerati modesti.
 
Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia, e Sergio Costa, Ministro dell'Ambiente, alla presentazione del Check-up Parchi nazionali e Aree marine Protette del WWF Italia.
DONATELLA BIANCHI, PRESIDENTE DEL WWF ITALIA.
“Quello dei parchi nazionali e delle aree marine protette è un sistema che ha consentito di proteggere una parte fondamentale del nostro capitale naturale, ma che ad oggi non riesce a decollare. È necessario lavorare per affermare una regia generale in grado di coordinare e organizzare al meglio questo sistema che protegge porzioni essenziali del nostro capitale naturale. È ormai evidente che la Legge Quadro sui Parchi necessita di un ‘tagliando’ che superando le luci ed ombre che caratterizzano il sistema delle nostre aree protette che assegni ai Parchi e alle Aree Marine protette una maggiore autonomia dagli interessi locali e politici e dall’altro favorisca le connessioni con tutte le attività green e sostenibili. Le aree marine protette non possono continuare ad essere la “serie B” delle aree protette: devono diventare dei parchi marini a tutti gli effetti con pari dignità e considerazione rispetto a quelli terrestri. A questo scopo chiediamo che già dalla prossima finanziaria si avvii una sperimentazione su un vero e proprio parco marino”.
 
SERGIO COSTA, MINISTRO DELL'AMBIENTE.
“La tutela e la conservazione della natura, della fauna e degli habitat nel sistema delle aree protette nazionali sono e saranno centrali nella nostra azione di governo. Per questo intendiamo agire subito, a cominciare dalle nomine, scegliendo i migliori profili a disposizione, attraverso un'ampia selezione di curricula evitando indicazioni di quelle persone che, a volte “un po’ troppo politicizzate”, non interessate ad una vera svolta dei luoghi più importanti per la biodiversità in Italia. In questo chiedo la massima collaborazione alle regioni per le intese. È solo il primo, ma importantissimo passo di trasparenza ed efficienza che vogliamo trasmettere per la governance dei Parchi. Inoltre, vogliamo accelerare con il completamento della Rete Natura 2000, accogliendo anche l’appello del Patto per l’ecologia, nonché andare a colmare le carenze nella dotazione organica in quei parchi dove persistono lacune di personale specializzato”.
 
PROPOSTE DEL WWF ITALIA.
Analizzando quanto emerge dal Check-Up il WWF Italia ritiene che sia necessario un “tagliando” della Legge quadro sulle aree protette. Un tagliando che abbia l’obiettivo di rafforzare il ruolo di sistema delle aree protette, realizzare la Strategia Nazionale sulla Biodiversità, garantire una maggiore connessione con le aree contigue, incrementare l’autorevolezza e le competenze di chi rappresenta o lavora nei parchi.
Inoltre, insieme alla semplificazione di alcuni processi gestionali e amministrativi, per facilitare una corretta possibilità di autofinanziamento è indispensabile un intervento sul sistema delle Riserve Naturali dello Stato che rientrano nel perimetro di aree protette.
In particolare il WWF ritiene indispensabile la modifica normativa della Legge quadro per tutto il comparto delle Aree Marine Protette che sia in termini di governance che in termini di risorse a disposizioni, sia finanziarie che umane, costituiscono loro malgrado un’inaccettabile “serie B” delle aree protette.
Un rafforzamento più credibile della nostra natura protetta non può prescindere da una governance più forte e credibile. Per il WWF è indispensabile che un elemento di novità arrivi subito, già dai numerosi presidenti di Parchi Nazionali ancora da nominare. Servono figure di qualità, coerenti con una corretta “visione” dei Parchi, in possesso di capacità e competenze coerenti per garantire il giusto equilibrio tra gli interessi nazionali e locali. È necessario garantire che i Direttori, nominati sulla base della designazione dei Consigli Direttivi, abbiano competenze “reali” sia nel campo della conservazione e gestione dei beni naturali, che in quello amministrativo e gestionale. Inoltre è necessario predisporre una specifica norma che superi l’Albo dei Direttori, per introdurre il principio di nomine tramite concorso pubblico per titoli ed esami. Vanno superate, infine, le logiche di spartizione politiche all’interno dei Consigli direttevi facendo sì che le nomine dei Ministeri dell’Ambiente e delle Politiche agricole rispondano effettivamente alla rappresentanza di questi e non alla rappresentanza territoriale delle forze politiche delle maggioranze di governo.
Il WWF chiede che ci sia un incremento di almeno 40 milioni le risorse nel capitolo di bilancio del Ministero dell’Ambiente per la gestione ordinaria delle aree protette nazionali terrestri e marine, che oggi destina a questo scopo circa 80 milioni di euro, portando quindi la dotazione complessiva a 120 milioni di euro, alla luce anche della creazione, con la Legge di Bilancio 2018, di due nuovi Parchi Nazionali (Portofino e Matese), oltre all’attesa da anni e ci si augura prossima istituzione in Abruzzo del Parco della Costa Teatina e dei tre parchi nazionali previsti in Sicilia: Parco delle isole Egadi e del litorale trapanese, delle isole Eolie e dei Monti Iblei.
Per quanto riguarda le AMP è di tutta evidenza che è necessario ridisegnare il sistema introducendo una modifica normativa che consenta di avere un bilancio congruo e certo inserito nelle spese obbligatorie dello Stato e che si stanzino fondi addizionali per la creazione delle AMP già individuate come “di prossima istituzione”.
È necessario che il sistema delle aree protette nazionali venga implementato con il completamento di tutti i parchi “sospesi”, ossia quelli che sono rimasti solo sulla carta e con una soluzione definitiva per i Parchi dello Stelvio e del Delta del Po che sono diventati dei parchi anomali, affidati a Regioni e Province autonome, e che invece devono tornare ad essere nazionali a tutti gli effetti.
Bisogna, inoltre, risolvere una volta per tutte la vicenda incresciosa del “parco nazionale interrotto” del Gennargentu, istituito, ma mai avviato, nonché proseguire nella trasformazione, già avviata a Portofino, di tutte quelle realtà dove la presenza contestuale di aree marine protette e riserve o parchi regionali terrestri costieri, richiederebbe una migliore gestione unitaria sotto-forma di Parco Nazionale (es. Parco Porto Conte-Amp Capo Caccia; Parco del Conero-futura AMP del Conero).
Il WWF chiede anche che i Parchi Nazionali e le AMP siano integrati in una Rete Ecologica Nazionale che può avere il suo primo nucleo pilota nel Santuario Pelagos, una delle maggiori aree di tutela dei cetacei al mondo e la più grande aree protetta transnazionale (87,500 kmq), che risulta ancora di fatto incapace di dare una protezione adeguata ai mammiferi marini, soprattutto in termini di collisioni con grandi navi, e dove è fondamentale che si crei un network di aree protette marine e terrestri (a cominciare da quelle di Portofino, Cinque Terre, Bergeggi, Secche della Meloria, Isola dell’Asinara e dai parchi de La Maddalena e dell’Arcipelago toscano).

3.9.18

Il WWF Abruzzo fa il punto sulla gestione della testuggine palustre americana Trachemys scripta

 
Il WWF è intervenuto per cercare di fare chiarezza sulla situazione della Trachemys scripta, nome scientifico delle testuggini palustri americane dalle orecchie rosse e dalle orecchie gialle, il cui commercio e detenzione sono oggi proibiti da normative europee e nazionali.
Il recente Decreto “Milleproroghe” (Decreto-Legge 25 luglio 2018, n. 91), tra le tante disposizioni, ha esteso di un anno anche il termine per la denuncia del possesso di animali da compagnia inseriti nell’elenco di specie esotiche invasive di rilevanza unionale. I proprietari di testuggine palustre americana Trachemys scripta, di alcune specie di scoiattoli e di gamberi hanno quindi tempo fino al 31 agosto 2019 per darne comunicazione al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
La denuncia di possesso è obbligatoria ai sensi del Decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 230, che adegua la normativa nazionale al Regolamento UE n. 1143/2014 sulle specie esotiche invasive.
Per la denuncia è sufficiente compilare, eventualmente con l’aiuto del proprio veterinario, un modulo scaricabile on line e inviarlo al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. L’attestazione dell’invio, tramite PEC, fax o raccomandata postale, autorizza automaticamente il proprietario a continuare a detenere il proprio animale da compagnia.
I proprietari così autorizzati sono in ogni caso obbligati a una corretta detenzione con misure adeguate per impedire la fuga e la riproduzione degli animali.
In alternativa chi volesse rinunciare a tenersi le Trachemys, potrà affidarle, come recita il Decreto, a strutture pubbliche o private autorizzate, individuate dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano (art. 27, comma 5, D.Lgs. n. 230/2017).
Qui sorgono però i problemi: nella gran parte delle regioni italiane, e meno che mai in Abruzzo, infatti, di queste strutture non c’è al momento traccia per cui l’affidamento è attualmente una strada non percorribile (tranne nelle poche Regioni che si stanno già adeguando).
Vi è poi da chiarire la posizione dei Sindaci che hanno nei propri territori comunali laghetti pubblici (vedi Pescara, Chieti, Teramo, ecc.) nei quali sono presenti testuggini esotiche (non solo della specie già oggi ritenuta invasiva). In molti casi questi animali sono il risultato della liberazione illegale fatta da ignoti che dopo aver acquistato le testuggini, non sapendo come gestirle, se ne sono sbarazzati. Il D.Lgs. n. 230/2017 prevede che l’obbligo di denuncia riguarda anche gli enti pubblici. E in effetti, stante il numero considerevole di animali presenti in alcune aree urbane, quest’obbligo potrebbe costituire oggettivamente un grosso problema. Se il testo non verrà modificato, i Comuni quindi dovranno procedere a un monitoraggio di tutti i laghetti e le aree umide in genere presenti sul proprio territorio per riscontrare l’eventuale presenza di testuggini.
Tra l’altro le sanzioni previste sono pesantissime:
  • la mancata denuncia di possesso è punita invece con sanzioni tra 150 e 20.000 euro;
  • per la violazione dei divieti di introduzione, detenzione, trasporto, utilizzo/scambio/cessione e riproduzione si va da 1.000 a 50.000 euro, con aumenti sino al triplo se dalla violazione dovesse derivare la necessità di applicare misure di eradicazione rapida o di gestione o di ripristino degli ecosistemi danneggiati;
  • il reato più grave, il rilascio in ambiente, è punibile invece con arresto sino a tre anni e sanzioni tra 10.000 e 150.000 euro.
Se viene verificata la non idoneità al confinamento o la riproduzione degli animali è inoltre prevista sempre la confisca degli animali a seguito della quale il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare dispone il rinvio nel Paese di provenienza (nei rari casi in cui ciò sia davvero possibile) oppure, in alternativa, l’affido a strutture pubbliche o private autorizzate o persino la soppressione.
C’è dunque poco da scherzare. Procedure di gestione e sanzioni possano apparire in effetti complicate e molto rigide, ma va anche considerato che l’introduzione di specie alloctone (cioè non del luogo) costituisce una delle principali cause di distruzione della biodiversità oltre a rappresentare, in alcuni casi, un vero e proprio flagello non solo ambientale, ma anche economico (vedi il caso della nutria, del pesce siluro, ecc.).
Ricapitolando:
  • i privati cittadini per mettersi in regola possono compilare e spedire il modulo (hanno comunque tempo fino a tutto agosto del 2019) e saranno tranquilli. Nel caso in cui vogliano affidare l’animale in possesso alla pubblica amministrazione dovranno attendere la realizzazione dei centri di detenzione;
  • le Regioni e le Province autonome sono chiamate a realizzare centri di detenzione o a convenzionarsi con strutture private;
  • i Comuni possono aspettare che si faccia chiarezza rispetto al testo normativo e alla sua applicazione. Nel frattempo farebbero bene a porre il problema a livello nazionale – magari attraverso l’ANCI – così da individuare, con il coinvolgimento di esperti, le migliori soluzioni.
Il WWF Abruzzo sollecita la Regione ad adeguarsi a quanto previsto per la creazione e gestione di centri di detenzione, consultando il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e confrontandosi con le associazioni scientifiche e ambientaliste, e cercare così una soluzione, in proprio o attraverso una convenzione, per mettersi al passo con gli obblighi di legge. Del resto, anche in questo caso, vige la regola che una buona gestione della cosa pubblica si misura meglio con il rispetto delle norme e con l’aiuto concreto offerto ai cittadini e agli enti locali anche nelle piccole cose piuttosto che con progetti faraonici spesso devastanti.
Per saperne di più si possono intanto consultare sul web le linee guida elaborate dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con il supporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e in collaborazione con la Societas Herpetologica Italica (SHI). Sullo stesso argomento può essere utile anche consultare le più estese raccomandazioni. Per consultare l’elenco completo delle specie esotiche di rilevanza unionale si veda invece questa pagina del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

2.9.18

Mangialonga dei Borghi, una bellissima giornata nel Parco!

La prima edizione della Mangialonga dei Borghi è stato un successo! Tanti partecipanti, il panorama dei Monti della Laga, una bella giornata nonostante all'inizio sembrasse che piovesse (e invece la pioggia è arrivata solo dopo la conclusione della passeggiata) e buon cibo in compagnia.
L’iniziativa è stata organizzata dal WWF di Teramo in collaborazione con la Pro Loco di Pagliaroli e con il patrocinio del Comune di Cortino, nell’ambito del calendario di eventi “Good Morning, Parco!” promosso dall’Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
L’escursione, alla quale ha partecipato anche il Presidente dell’Ente Parco, Tommaso Navarra, è partita dal Centro di Educazione all’Ambiente WWF “Monti della Laga” e ha toccato le frazioni del comune di Cortino Casagreca, Servillo, Pagliaroli e Fonte Palumbo: nelle varie tappe e all’arrivo i partecipanti hanno gustato gratuitamente i prodotti tipici dei Monti della Laga e hanno potuto anche vedere dal vivo il tradizionale lavoro dei pastori per la preparazione di ricotta e formaggio.
“È stata una bella giornata che ci ha permesso di far conoscere il territorio dei Monti della Laga”, dichiara Claudio Calisti, Presidente del WWF Teramo. “Abbiamo voluto unire alla passeggiata in natura anche la visita delle piccole realtà economiche ancora presenti su queste montagne. Come WWF, infatti, siamo convinti che sia necessario tutelare questi luoghi, ma anche valorizzare le economie sostenibili di questi luoghi”.



































1.9.18

Domani la Mangialonga dei borghi


Domani, domenica 2 settembre, si svolgerà a Cortino (TE) nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga la prima “Mangialonga dei borghi”, organizzata dal WWF di Teramo in collaborazione con la Pro Loco di Pagliaroli e con il patrocinio del Comune di Cortino.
Si tratta di un’escursione particolare nel cuore dei Monti della Laga e fa parte del calendario di eventi “Good Morning, Parco!” finanziato dall’Ente Parco e che ha fatto registrare il tutto esaurito in pochi giorni.
Il punto di incontro è fissato alle ore 8.30 al Centro di Educazione all’Ambiente WWF “Monti della Laga” presso il bivio per Casagreca. La passeggiata, guidata da accompagnatori di media montagna, si concluderà a Fonte Palumbo verso le ore 13 dopo un itinerario che toccherà Casagreca, Servillo e Pagliaroli: nelle tappe e all’arrivo sarà possibile assaggiare prodotti tipici locali.
“Abbiamo accolto con molto piacere la proposta del Parco di organizzare iniziative per rilanciare questo territorio che purtroppo sta ancora risentendo dei terremoti degli scorsi anni”, dichiara Claudio Calisti, Presidente del WWF Teramo. “Del resto come WWF, attraverso il nostro Centro di Educazione all’Ambiente, operiamo nel Comune di Cortino da prima ancora che fosse istituito il Parco: sono luoghi bellissimi che meritano di essere protetti e valorizzati attraverso tante iniziative rispettose dell’ambiente e capaci di attirare visitatori da ogni parte d’Italia e non solo”.