Polo scolastico unico a Teramo: idea che ciclicamente riappare, frutto anche di una delibera di Giunta Comunale che avrebbe dovuto permettere di ricevere finanziamenti ministeriali, e che oggi è ancora più in voga vista la disastrosa situazione degli edifici scolastici di tutta la provincia.
Idea che, al di là dell'interesse “ballerino” da parte delle varie amministrazioni che si sono succedute alla guida della città, sembra mantenere la collocazione nell’area Acquaviva, individuata dal vigente P.R.G. come zona “G1-Istruzione”, adiacente l’edificio della scuola D’Alessandro. L’edificio dovrebbe ospitare circa 900 alunni (ma forse anche di più) e occupare un’area dell’estensione di circa 31.000 mq.
Nascono, però, non pochi problemi su una proposta del genere, ad iniziare dal sito prescelto, prossimo all’ambito fluviale, situato in un’area spesso soggetta ad allagamenti. Quanto sta accadendo in queste settimane e quanto è accaduto negli anni passati dovrebbe spingere alla massima cautela e a rispettare gli ambiti fluviali che vanno preservati e lasciati assolutamente liberi. Non è un caso che il Piano Territoriale della Provincia di Teramo individua il sito come “di interesse bio-ecologico/aree ripariali e zone umide”, nonché “da riservare prioritariamente allo sviluppo del sistema del verde urbano”.
Senza considerare che l’area appare insufficientemente servita dalla viabilità ordinaria per cui l’aumento di traffico legato al polo scolastico determinerebbe problemi a tutta la mobilità cittadina.
Ma anche volendo individuare un’area più idonea, esistono ulteriori elementi di riflessione proprio sull’idea stessa di un polo scolastico unico.
La creazione di un polo che raggruppi tutte, o quasi, le scuole primarie del territorio, priverebbe i quartieri di un presidio territoriale importante quale quello scolastico, imponendo, di fatto, gli spostamenti con il mezzo meccanico (auto privata o pulmino), in controtendenza con tutte le direttive, pedagogiche e normative, che tendono a valorizzare e incentivare gli spostamenti degli studenti a piedi o in bicicletta anche in abbinamento con il mezzo pubblico.
Si determinerebbe, inoltre, un ulteriore consumo di suolo, svuotando edifici esistenti (che certo hanno bisogno di adeguamenti e ristrutturazioni che potrebbero portare fino alla demolizione e ricostruzione) che rimarrebbero inutilizzati per anni, se non per sempre, con conseguente scomparsa di attività collaterali o legate alla presenza della scuola.
Il recente Decreto del Ministero dell'Ambiente dell’11 gennaio 2017 fissa criteri ambientali minimi per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione degli edifici pubblici. Il Decreto stabilisce che, prima della definizione di un appalto, la stazione appaltante debba fare un’attenta analisi delle proprie esigenze, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti, verificando la coerenza tra la pianificazione territoriale vigente e i criteri riportati nel decreto stesso e valutando di conseguenza la reale esigenza di costruire nuovi edifici, a fronte della possibilità di adeguare quelli esistenti, e della possibilità di migliorare la qualità dell’ambiente costruito. La decisione se adeguare edifici esistenti o realizzarne di nuovi va presa caso per caso valutando le condizioni di utilizzo, i costi attuali e i risparmi futuri conseguibili con i diversi interventi e l’impatto ambientale delle diverse alternative lungo l’intero ciclo di vita degli edifici in oggetto. Nella fase dello Studio di fattibilità, quindi, al fine di contenere il consumo e l’impermeabilizzazione di suolo, la perdita di habitat, la distruzione di paesaggio agrario, tutelando al contempo la salute, è necessario verificare se non sia possibile recuperare edifici esistenti, riutilizzare aree dismesse o localizzare l’opera pubblica in aree già urbanizzate/degradate/impermeabilizzate, anche procedendo a varianti degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica. E l’analisi delle opzioni dovrebbe tenere conto della presenza o della facilità di realizzazione di servizi, spazi di relazione, verde pubblico e della accessibilità e presenza del trasporto pubblico e di piste ciclabili.
Siamo sicuri che realizzare un nuovo, imponente, edificio, nella collocazione ipotizzata, risponda ai criteri dettati dal Ministero e, soprattutto, alle esigenze della cittadinanza? Siamo certi che eliminare dai quartieri, e dal centro storico, edifici scolastici che potrebbero essere recuperati o ricostruiti, magari inserendoli in contesti ambientali più favorevoli, come aree pedonali e/o “zone 30” e aree verdi, non impoverirebbe ancor di più un tessuto urbano già duramente provato dall’eliminazione di servizi alla collettività?
Prima di cedere a facili entusiasmi forse occorre fare più di una riflessione e a confrontarsi sulle tematiche esposte e su altre che dovessero nascere da un’ampia condivisione della problematica.